Pio XII e il Concilio Vaticano II

Pio XIIIl Timone n. 77
novembre 2008

Gigante della Chiesa. Che solo artificiosamente viene contrapposto ai suoi successori. Dividendo così la storia ecclesiastica recente in “pre” e “post” Concilio Vaticano II. Una divisione che potrà essere superata con | la beatificazione di Pio XII. Attesa da tanti nel mondo cattolico.

di don Nicola Bux

Si addormentò nel Signore il 9 ottobre 1958 e il suo funerale, paragonabile per il concorso di folla a quello di Giovanni Paolo II, si svolse l’11 ottobre, festa della divina Maternità di Maria secondo il calendario in vigore prima della riforma liturgica, la Vergine che nel 1950 aveva proclamato “assunta in cielo in anima e corpo”.Quello stesso giorno 11 ottobre, appena quattro anni dopo, il suo successore avrebbe aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Che cosa significasse tale raduno sfuggiva ai più. Allora si fece ricorso agli storici perché riprendessero in mano la lista dei concili. Qualcuno lo intese come un appello alla riunificazione dei cristiani fino ad allora separati tra loro, soprattutto a motivo del nuovo significato dell’attributo “ecumenico” che invece anticamente indicava l’orbe abitato da cui provenivano i vescovi della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Andrea Tornielli ricorda che l’idea di un concilio era stata già presentata nel dopoguerra a Pio XII dal cardinale Ernesto Ruffini (1888-1967), arcivescovo di Palermo e da mons. Alfredo Ottaviani (1890-1979), allora assessore del S. Uffizio, l’odierna Congregazione per la Dottrina della Fede, e si era designato anche un responsabile dei lavori preparatori. Pio XII ritenne però di non poter chiedere ai vescovi di lasciare le loro sedi a lungo per convenire a Roma in concilio, proprio mentre si avviava la ricostruzione postbellica e si contavano milioni di morti.

Inoltre, la lunga e accurata preparazione che avrebbe richiesto gli consigliava di attendere tempi migliori; probabilmente, pur continuando ad accarezzare l’idea, ancora nel 1952 egli diceva con realismo: «II Concilio ci vuole, ma io sono troppo vecchio; ci vuole un papa giovane, lo farà mio successore» (Pio XII. Eugenio Pacelli, un uomo sul trono di Pietro, Mondadori 2007, p 457).

Come avrebbe potuto Giovanni XXIII, – stimato da Pio XII come il diplomatico più idoneo e per questo inviato alla nunziatura di Parigi – pensare a un tale raduno e convocarlo il 25 gennaio del 1959, appena quattro mesi dopo l’elezione, se non gliene avessero parlato i cardinali come di un’idea già nell’animo del predecessore o non ne avesse saputo lui stesso qualcosa, magari per aver preso visione dei preparativi abbozzati? Giovanni aveva poi devozione per un altro Pio che aveva indetto il concilio Vaticano I, interrotto dalla presa di Roma nel 1870; così egli desiderò riprenderlo e sperava di beatificare appunto Pio IX in quella circostanza; poi è successo che è stato lui ad essere beatificato insieme a Pio IX.

Dunque il Concilio doveva essere in continuità con quell’altro, perciò “Vaticano II”, non solo in senso di luogo ma anche dell’insegnamento che a partire da esso si era sviluppato, incluso l’aggiornamento magisteriale di Pio XII contenuto in venti volumi «che Giovanni XXIII paragonò a un colonnato di solidi pilastri per pensiero cristiano del nostro tempo» (Pio XII mezzo secolo dopo, a cura di Raimondo Spiazzi, ESD 1991, p 130).

Sono i documenti quindi a provare quanto affermato circa Pio XII e l’idea di Concilio. Solo tale antefatto basterebbe a privare di consistenza tutta l’artificiosa e malevola operazione – perché finalizzata all’ideologia della Chiesa che si fa dal basso in modo democratico – che ha contrapposto Pio a Giovanni, volta a dimostrare la chiusura del primo e l’apertura del secondo. Invece, proprio Pio XII aveva dato inizio ad una graduale riforma della Chiesa.

Un’altra prova? Paolo VI avviò di entrambi la causa di beatificazione. Quindi, quando si parla di “papi del concilio” bisogna includere Pio XII, se si vuole interpretare correttamente la storia o – con una parola difficile – farne l’ermeneutica, un termine usato da Benedetto XVI nell’importante discorso del 22 dicembre 2005 proprio a proposito del Vaticano II: per dire che esso può essere capito solo in continuità con tutti gli altri venti concili e col magistero vivente della Chiesa cattolica che, alla sua apertura, era in massima parte quello di Pio XII.

Si sa che Benedetto ci tiene allo studio di tale magistero, perché contiene la chiave per interpretare correttamente il Concilio, senza cadere nella rottura come certe “scuole” hanno cercato di fare. Infatti, se da un lato il concilio nel suo insieme va considerato in rapporto agli altri che lo hanno preceduto, pure ha documenti che non hanno tutti lo stesso peso: altro sono le costituzioni altro i decreti e altro ancora le dichiarazioni.

Ora, il magistero più citato dal concilio è quello di Pio XII: si contano circa 180 riferimenti espliciti come Lumen Gentium, 31; Gaudium et Spes, 25; Dei Verbum, 8; Apostolicam Actuositatem, 31; Ad Gentes, 22. Si tratta infatti di un magistero di 40 encicliche, un magistero per tutti, per le diverse categorie del popolo di Dio, un magistero cattolico, positivo, costruttivo e irradiante, sulla dottrina, sulla morale e la spiritualità, sulle scienze umane e le arti, sulla liturgia e la Scrittura, sulla Chiesa e sull’uomo.

Altro che papa politico e diplomatico, egli diede un grande impulso all’interiorizzazione della Chiesa nel mondo contemporaneo, intervenendo opportune et importune, cioè senza cedere come si dice oggi al politicamente corretto. La mens di Pio XII era la medesima dei padri del Concilio, diventati come lui vescovi nella stessa epoca e pronti a dare il sangue per Cristo. In lui l’esempio del vescovo che non tace, non accomoda, e per questo fu amato e attaccato. Altro che “silenzio”. Ma la “continuità” tra Pio XII e il Concilio si ha massimamente nell’opera di carità svolta senza confini in un tempo tristissimo come la guerra e il dopoguerra.

«Carità fino in fondo» era l’espressione frequente sulle sue labbra e indicava uno sconfinato programma di aiuti ai prigionieri di guerra, dal servizio di informazione per le famiglie alla Pontificia Opera di Assistenza, dalle vittime dei bombardamenti ai profughi e agli sfollati per le alluvioni del Polesine. Il concilio non è sorto dunque come un fungo, ma ha trovato in Giovanni XXIII quel “successore giovane” nello spirito, favorito anche dai nuovi tempi, che doveva avviarlo. Se lo Spirito Santo è il protagonista dei conclavi, Egli scelse Giovanni perché portasse avanti l’opera di Pio dove l’aveva lasciata. Questa è la Chiesa. Un papa non è il padrone ma un servo dei servi di Dio che è l’unico Signore.

D’altronde, dice Qohelet, per abbassare il nostro orgoglio: «C’è forse qualcosa di cui si possa dire: “Guarda questa è una novità”?» (1,10). Emerge perciò l’umiltà di Pio XII che quasi spariva sotto l’oggettività del ministero pontificio. Perciò non si troverà nel suo magistero la sua opinione, ma la dottrina sicura come dice Paolo. «Depositum custodi» ripeteva quando nel 1954, seriamente malato, pensava di morire e di dover fare un bilancio del suo pontificato. Essere stato fedele a Cristo e non alle mode fu la sua vita e la sua opera.

Per non parlare dell’opera per la pace e degli incessanti appelli contro la guerra. Giovanni Paolo II, nell’Angelus del 18 marzo 1979, a quarant’anni dalla sua elezione (2 marzo 1939), lo ricordò come «grande papa… che contribuì alla preparazione teologica del concilio Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda la dottrina circa la Chiesa, le prime riforme liturgiche, il nuovo impulso dato agli studi biblici, la grande attenzione ai problemi del mondo contemporaneo».

Pio XII guardò anche all’Oriente cristiano con la lettera Orientalis Ecclesiae del 23 dicembre 1945, per il centenario dei SS. Cirillo e Metodio, che più tardi Giovanni Paolo II proclamerà patroni d’Europa. Infine, dove il servo di Dio Pio XII ha preparato la Chiesa ai nostri giorni, è nella messa in guardia dell’Occidente dall’immanentismo etico, come fa oggi Benedetto XVI dinanzi al relativismo che di quello è l’ultima conseguenza. La conferma poi della sua visione tragica della storia contemporanea, la troviamo nell’opera di Solgenitsyn. Perciò, man mano che l’Occidente prende coscienza di tutto ciò e cambia rotta, non può non scoprire anche Pio XII. Ancor più deve farlo la Chiesa. Ma il segno della fine della rottura e discontinuità tra pre-concilio e concilio sarà la sua beatificazione.

Da Non Perdere

Alexandra Von Teuffenbach, Eugenio Pacelli. Pio XII tra storia, politica e fede. Nuovi contributi a cinquant’anni dalla morte, Edizioni Art, Roma 2008, pp. f 368, €18,00.

Questo libro è nato con l’intento di inserire la figura di Eugenio Pacelli, personalità non comune per preparazione, pietà e dedizione, nel contesto del suo tempo, con particolare riferimento alle vicende che vedono coinvolta la Germania. L’Autrice, docente all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, offre informazioni di carattere storico utili per la comprensione della figura e dell’azione di Pio XII. Non una “storia del pontificato”, ma una ricerca sull’uomo, a partire da documenti -talvolta inediti – scritti da personalità che entrarono in contatto con il Pontefice della Seconda Guerra Mondiale. Il libro, inoltre, presenta il lavoro di preparazione del Concilio Vaticano II, evidenziando i punti di contatto tra il magistero di Pio XII e i documenti del Concilio, segno che Eugenio Pacelli influì enormemente sull’assise conciliare.