Le regole della ricerca della verità

bocca_veritàil Timone N.143 (maggio 2015), pp. 30-31

Per riuscire a trovare la verità il più possibile sono di grande aiuto alcune utili regole. Ecco di seguito sei preziosissime direttive da seguire

di Giacomo Samek Lodovici

Per riuscire, almeno in parte, a trovare la verità, per riuscire a conoscerla il più possibile, sono di grande aiuto alcune utili ‘regole’. Vediamone di seguito almeno sei, seguendo in larga parte le riflessioni dell’ultimo intervento pubblico di Emanuele Samek Lodovici, pubblicato postumo da pochissimo (NDR: cfr. box in questo articolo).

Chiarificare lo scopo

1) Bisogna chiarificare a se stessi il fine della ricerca della verità, il quale non è in primo luogo fuori di noi, non è in primo luogo una qualche trasformazione del mondo (sebbene questa possa poi essere giustamente perseguita in seguito), bensì è il nostro perfezionamento: la ricerca della verità dovrebbe vertere anzitutto e principalmente sulle grandi domande esistenziali («chi sono?», «qual è la mia origine?» «qual è lo scopo della mia vita?» «esiste Dio?» «perché c’è la sofferenza?», «siamo liberi?», «in che cosa consistono il bene e il male?», ecc.) e dovrebbe servire a migliorarci, dovrebbe aiutarci a ben vivere e a ben morire. L’investigazione della verità su queste grandi questioni ci migliora perché ci fa conoscere la nostra vera natura, il senso della nostra vita ed il nostro vero bene.

Insomma, nella vita non conta innanzitutto (pur avendo la sua importanza) ciò che faccio, bensì come lo faccio (come a teatro, dove la comparsa può essere migliore del protagonista, perché interpreta meglio il suo ruolo, pur breve e piccolo). E questa convinzione è antitetica rispetto a quella delle ideologie (emblematica la famosa 11a tesi di Marx su Feuerbach: «i filosofi si sono finora sforzati di interpretare il mondo, si tratta [piuttosto] di cambiarlo»).

Ciò vuol dire che dobbiamo cercare una giusta proporzione tra ciò che sappiamo per via della nostra professione o per interesse e ciò che dobbiamo sapere come uomini: posso sapere tutto sull’informatica, sull’economia, sullo sport, ecc., ma, senza voler sminuire le varie sfere dello scibile, quello che conta principalmente è saper rispondere, almeno in parte, alle grandi domande.

Peraltro, se è vero che l’investigazione sulle grandi domande è tipica delle discipline umanistiche, nondimeno anche quelle scientifiche possono in parte contribuirvi.

Infatti, la scienza può registrare il finalismo dei viventi, che rinvia all’Autore del mondo (la propensione verso l’autoconservazione dei viventi, delle parti delle loro parti, ecc. esige una serie di attività che richiedono un’Intelligenza Superiore che abbia creato i viventi: per un’argomentazione su ciò cfr. G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio, Quaderni del Timone, 2004). Come dice il salmo 8: «I cieli narrano la gloria di Dio»; cfr. anche la Lettera ai Romani 1, 19-21; anche Galileo diceva che la natura è uno dei libri scritti dal Creatore, insieme alla Bibbia.

E la matematica può fornire gli strumenti per rendere conto del finalismo.

Inoltre, ogni disciplina contribuisce almeno indirettamente alla ricerca della verità sulle grandi domande nella misura in cui potenzia lo strumento di questa ricerca, cioè la ragione e quest’attività di potenziamento è cruciale soprattutto oggi in tempi di emozionalismo (cfr. punto 4).

Coltivare le virtù necessarie ed evitare il male

2) Bisogna essere umili, ed evitare l’orgoglio, perché chi è orgoglioso difficilmente riconosce di sbagliare e persevera nel difendere una tesi falsa per non dover ammettere di aver sbagliato.

Del resto, per conoscere bisogna voler conoscere ed esercitare virtù preziosissime nella ricerca intellettuale, come la fortezza, l’onestà intellettuale, la costanza, ecc.

3) Bisogna inoltre anche evitare il male. Infatti, chi compie il male non solo fa fatica a compiere in concreto il bene, ma fa anche fatica a capire qual è il bene, o non arriva più a comprenderlo. La distorsione della comprensione morale è simile (l’analogia è di Aristotele) a quella del gusto: chi è malato giudica erroneamente i sapori (oppure sente freddo/caldo quando invece la temperatura è gradevole), perché le sue disposizioni fisiche sono alterate e perciò il gusto è falsato. Per es., chi è lussurioso fatica a percepire che la temperanza è bene e chi è temerario fatica a percepire che la cautela è (a volte) una virtù.

Vagliare le emozioni

4) Bisogna evitare di seguire solo le emozioni perché non sono fonte indefettibile di verità: possono depistarci, non possono essere il criterio del nostro comportamento, non possiamo seguire la regola che dice «va dove ti porta il cuore» e non è vero che «il cuore ha sempre ragione» (su ciò cfr. G. Samek Lodovici, Il cuore ha sempre ragione?, «il Timone», 86 [2009], pp. 30-31, reperibile su www.iltimone.org, e Id., L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, 2010, pp. 23-84).

Non si tratta affatto di bandire le emozioni, bensì di vagliarle con la ragione: quando ciò accade, esse diventano un’energia straordinaria, che incrementa la nostra capacità di agire.

Se però non le sottoponiamo alla ragione e le assecondiamo continuamente, diventiamo progressivamente sempre meno liberi.

E chi perde la libertà difficilmente riuscirà a conoscere la verità, perché sarà facile conculcargli delle menzogne facendo leva sulle sue pulsioni.

Coltivare lo spirito di meraviglia

5) Per conoscere la verità bisogna essere desti nei riguardi della realtà e coltivare lo spirito di meraviglia (da cui nasce la filosofia, come dicono già Platone e Aristotele; cfr. anche Gregorio di Nissa: «solo lo stupore conosce»). Bisogna sapersi stupire, bisogna mantenere lo stupore dei bambini, bisogna continuare ad essere colpiti ed affascinati dalle cose preziose e belle che esistono.

Come coltivare lo spirito di meraviglia? In due modi apparentemente contraddittori.

– Bisogna evitare di vivere solo nel futuro (pur progettandolo, come è giusto), sempre nell’attesa di qualcosa di ulteriore (è la strategia delle ideologie rivoluzionarie, cfr. G. Samek Lodovici, Ma come parla?, «il Timone», 101 [2011], pp. 30-31, reperibile su www.iltimone.org), altrimenti non si apprezza il presente e si è incapaci di stupirsene.

– Bisogna anticipare nella mente la fine di tutto ciò che sperimentiamo: tutto ciò che viviamo e sperimentiamo potrebbe accadere per l’ultima volta, o perché non ci capiterà più quella cosa (si legga la poesia Limiti, di J.L. Borges) o perché possiamo morire di lì a poco (cfr. il monito evangelico: «siate sempre pronti»). Se viviamo con questa consapevolezza possiamo apprezzare molto di più le cose belle.

Affidarsi ad una solida Rivelazione

6) Bisogna esercitare la ragione quanto più possibile, ma anche essere consapevoli che da sola non può formulare una risposta definitiva sul senso della vita, sul bene e sul male, sulla sofferenza, sulla destinazione ultima dell’uomo: «l’ultimo passo della ragione consiste nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sovrastano» (Pascal), di cose che sono accessibili solo con la fede. È l’ultimo passo della ragione, perché la ragione dovrebbe riconoscere di non essere onnipotente e dunque di non poter conoscere tutte le cose.

Del resto, paradossalmente, il razionalismo è un fideismo, perché crede, in forza di una fede cieca e incrollabile, che la ragione possa conoscere la totalità della realtà, squadernandola tutta, prima o poi.

Arrivata ad una certa soglia, la ragione deve cioè riconoscere umilmente di avere bisogno di una solida e credibile Rivelazione (sulla quale peraltro eserciterà il suo vaglio: le religioni, infatti, sono molte e differiscono in moltissime affermazioni). Proprio una simile Rivelazione desiderava Platone, quando diceva che circa i destini ultimi dell’uomo si può «accettare tra i ragionamenti umani, quello migliore […] e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio del mare della vita […]. A meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su una più solida nave, cioè affidandosi ad una divina rivelazione». Ebbene, la solida nave a cui anelava Platone è costruita – come dice S. Agostino sette secoli più tardi − col lignum crucis: «nessuno […] può attraversare il mare di questa vita, se non è portato dalla croce di Cristo».

Per saperne di più…

Emanuele Samek Lodovici, Educarsi all’“intelligenza”, in G. De Anna (a cura di), L’origine e la meta. Studi in memoria di Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito, Ares, 2015, pp. 19-32.

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Da non perdere

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De Anna (a cura di), L’origine e la meta. Studi in memoria di Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito, Ares, 2015.

Emanuele Samek Lodovici, filosofo cattolico, morì a soli 38 anni, ma si era già imposto nel mondo culturale, per es. conquistando grandemente la stima di intellettuali come Del Noce. Questo felicissimo volume riprende i suoi scritti, che sono molto attuali.

Un inedito di Samek offre un’efficace introduzione al suo pensiero: la trascrizione della sua ultima conferenza pubblica, tenuta 40 giorni prima di morire. Il tema è l’educazione all’intelligenza, intesa come educazione alla vita riuscita e feconda.

I saggi, scritti da studiosi autorevoli, mettono a fuoco diversi aspetti del pensiero samekiano, tematizzando le sue profetiche interpretazioni del nostro tempo. Per difendere una prospettiva metafisica Samek combatté coraggiosamente contro varie forme di riduzionismo, di cui mise in luce la radice gnostica. Decifrò in modo illuminante il femminismo (in cui egli seppe leggere con chiaroveggenza le tendenze oggi deflagrate con l’ideologia gender), i mass media, le manipolazioni linguistiche, ecc. Propose una «cultura del ricordo» e di onorare l’Origine dell’essere, che è anche la Meta di ognuno.

Gli articoli di Samek sono reperibili su www.emanuelesameklodovici.it.