Turcherie e fumisterie

Turchia_UeIl Foglio 16 dicembre 2004

Il problema non è se la Turchia sia degna dell’Europa, ma il rovescio

Forse che sì, forse che no. Sulla Turchia nella Unione europea si finisce facilmente in confusione. Per esempio, Bush e il suo team, e magari anche Blair e Berlusconi, insomma gente che una mano a reagire alla minaccia islamista radicale l’ha data senza troppo risparmiarsi, sono favorevoli all’accoglienza dopo serio negoziato.

La classe dirigente francese, che quella mano deve ancora darla, se ce l’ha ancora, è invece assai più timida, come peraltro il Vaticano, che politicamente è quietista ma ha dato segno di stare sul negativo in questa delicata occasione. E sul senso di questa candidatura, compresa la efficace granata tirata dalla Fallaci, c’è dissenso trasversale nell’opinione pubblica.

La nostra idea è come al solito abbastanza semplice, dunque la più difficile a realizzare. Per la Turchia e per la grande comunità islamica europea la questione non è di stabilire se sono degni, per cultura e civilizzazione e religione professata, di convivere con noi, ma il rovescio. Siamo noi degni abbastanza, abbastanza forti e strategicamente determinati a vincere la battaglia contro l’islamismo radicale, al punto da poterci permettere una politica di accoglienza?

Tutta la partita della “paura” verso la minaccia del multiculturalismo andrebbe giocata invertendo i ruoli in campo. Siamo noi che dovremmo allontanare le fobie da noi stessi, ma per farlo occorre che il nostro multiculturalismo sia armato di “coraggio”.

A un’Europa che non coltivi ghiribizzi multipolari e riconosca la sua storia e le sue radici, che non lavori per la corrosione dell’alleanza atlantica e la gratificazione di patetici nazionalismi senza denti, l’ingresso della Turchia forse farebbe perfino bene: diventerebbe quella zona di libero scambio che è, senza consegnare a un superstato che nessuno vuole, tranne la cospicua burocrazia che se ne alimenta, la propria complicata e differenziata identità.

Se fossimo più pronti a capire la strage di Atocha e l’omicidio di Theo Van Gogh, e meno proni a subirli, saremmo noi a mettere un piede in terra islamica, in uno dei pochi territori in cui siano state sperimentate con alterno successo e molta ambiguità la modernizzazione e secolarizzazione.

Se non ci vergognassimo del piccolo presepe e delle nostre leggi, come non se ne vergognano gli americani che integrano da due secoli tutto l’integrabile, non dovremmo poi ricorrere alla proscrizione di un piccolo velo a scuola o a un comunitarismo che, come in Canada, sfiora talvolta l’idea di introdurre da noi la sharia. Insomma: la questione non è di rilanciare la paura, ma di farsi animo e di sapere chi si è con un sufficiente grado di saggezza. E di orgoglio.