Un’alleanza poco santa

Alberigo_Giuseppe

Giuseppe Alberigo

da www.ragionpolitica.it 20 febbraio 2007

Un manipolo di “cattolici” «aperti al mondo» persegue un disegno: creare coscientemente divisioni nella Chiesa ed esporla agli attacchi di chi la odia. Un fatto grave, di cui essi portano oggettivamente e per intero la responsabilità, di là da ogni sfumatura linguistica possibile.

di Giante Bordero

I radicali attaccano la Chiesa «interventista» e chiedono a gran voce che venga cancellato il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano. Non deve stupire: è il loro mestiere, di ieri, di oggi, di sempre. E neanche deve stupire l’atteggiamento della stampa benpensante e politicamente corretta, che interpreta ogni parola del Papa e dei vescovi come una minaccia per la sua egemonia mediatica. E’ da decenni che in Italia le cose funzionano così.

L’elemento di novità che il dibattito sul ddl governativo sui Dico e la netta presa di posizione della Chiesa italiana hanno fatto emergere in maniera chiara è piuttosto un altro, se vogliamo ancor più preoccupante della furia anti-clericale dei radicali e dello snobismo intellettuale dei giornali che contano.

E’ l’autolesionismo di molti cattolici in vista, che più o meno volontariamente si sono accodati alla crociata anti-Chiesa di questi giorni. Il panorama è vasto. Si va dai «duri e puri» dossettiani, che hanno firmato una «supplica» alla Cei per invitarla a non pronunciarsi con una nota «impegnativa» per i cattolici in materia di unioni civili, al più «morbido» – ma non per questo meno «pesante» – cardinal Carlo Maria Martini, campione del progressismo ecclesiale, che ha icasticamente affermato, in neppur tanto velato dissenso dalle gerarchie vaticane, che la famiglia, più che difesa, va «promossa».

Passando per il priore di Bose, Enzo Bianchi, che dalle pagine della Stampa di domenica ha invitato i cattolici a impostare in maniera diversa il dialogo con i laici («Alcuni cattolici – ha scritto – sembrano voler costruire gruppi di pressione in cui la proposta non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, ma diventa intransigenza arrogante, e contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori»).

Tre sfumature diverse, di diversa intensità. Ma tutte, più o meno deliberatamente, forniscono materiale di battaglia ai nemici storici della Chiesa, fanno il gioco del pensiero dominante che vorrebbe i cattolici omologati alla dittatura del «politicamente corretto», deboli come debole è la cultura che la fa da padrona di questi tempi.

Il caso dei dossettiani e della loro «supplica» alla Cei è il più eclatante: le dichiarazioni del promotore dell’appello, il professore Giuseppe Alberigo, fanno il paio esatto con quelle dei radicali. Intervistato da Repubblica qualche giorno fa, Alberigo confessava di aver l’impressione che «la Chiesa italiana, di fronte alla difficoltà crescente di predicare il vangelo e annunciare la salvezza, preferisca affidarsi alle norme giuridiche per far osservare le sue indicazioni».

Sono gli stessi argomenti usati in questi giorni dai vari Pannella, Bonino, Boselli per condannare le prese di posizione del Papa e di Ruini sulla famiglia e per chiedere l’abrogazione del Concordato. E ancora: «C’è ancora chi crede che si possa avere una legge “più cristiana”. E’ un mito… I problemi della Chiesa italiana sono tanti: c’è una formazione spesso datata, c’è un disagio a stare in mezzo alla società odierna», dichiara Alberigo a Repubblica.

E la Bonino, alla Stampa: «Questa Chiesa così arroccata, che non ha quasi più nulla a che vedere con quella del Concilio Vaticano II che si apriva all’evoluzione della società, mi sembra una Chiesa passatista». E si potrebbe continuare, al punto da non riuscire più a distinguere quali siano le affermazioni del cattolico Alberigo e quali quelle della radicale Bonino.

Possibile che questi cattolici «aperti al mondo» – come usava dire qualche tempo fa – non si rendano conto del fatto che, con le loro dichiarazioni e i loro interventi, finiscono per legittimare la crociata contro la Chiesa messa in campo da quelle che sabato Benedetto XVI ha definito «lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi»? Possibile che preferiscano prendersela con i teocon piuttosto che denunciare i pericoli insiti nell’ideologia radicale?

I casi sono due: o lo fanno in buona fede e in maniera ingenua, senza rendersi conto delle conseguenze delle loro parole, oppure sono perfettamente coscienti degli esiti del loro dire e perseguono un disegno tutto interno alla Chiesa per affermare in essa, da «partigiani» – come affermò Dossetti – un loro punto di vista ed elevarlo a criterio assoluto.

Nel primo caso sarebbero giustificati, nel secondo sarebbero doppiamente colpevoli. Colpevoli di aver dato vita a una (poco) santa alleanza con i nemici storici della Chiesa e di aver generato confusione e divisione all’interno della stessa Chiesa.

Conoscendo la caratura intellettuale delle persone coinvolte, il loro passato e le loro battaglie ecclesiali, propendiamo per la seconda ipotesi. Per questo non sono giustificabili: creare coscientemente divisioni nella Chiesa ed esporla agli attacchi di chi la odia sono fatti gravi, di cui essi portano oggettivamente e per intero la responsabilità, di là da ogni sfumatura linguistica possibile.