Per avere le idee chiare sui Pacs (o unioni civili)

unioni civilidi Aldo Ciappi (avvocato)
Unione Giuristi Cattolici di Pisa

E’ bene qualche chiarimento sui “pacs”, o “unioni civili” (i termini si equivalgono),  per evitare, anche tra i cattolici, inesatte rappresentazioni della realtà.

La Costituzione (art. 29) “riconosce” specificamente “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”; essa non può essere pertanto equiparata ad alcuna delle “formazioni sociali” (art. 2) in cui si svolge la personalità di ogni individuo. La ragione di questo specifico richiamo nella Carta fondamentale è che la famiglia, sebbene originata dalla libera volontà di due soggetti di unirsi in matrimonio,  non può restare confinata nell’ambito del mero diritto privato (alla stregua di una qualunque “formazione sociale”), in quanto ad essa compete (per elementari esigenze pratiche, oltre che per diritto naturale) la primaria funzione di curare sotto ogni aspetto (materiale e morale) la prole.

Dunque, la famiglia, liberamente costituita dai coniugi (che, per poter procreare, debbono essere di sesso diverso) quanto alla sua concreta formazione, è tuttavia regolata, nel superiore interesse della prole (ma anche, infine, della stessa comunità), da una serie di norme non derogabili.

E’ intuitivo, pertanto, che la tutela della famiglia, così come contemplata dalla Costituzione, non può che rappresentare un unicum rispetto a cui non vi è luogo ad alcuna discriminazione rispetto ad altre forme di convivenza, atteso che il principio di uguaglianza (art. 3) garantisce che situazioni uguali abbiano lo stesso trattamento e, di contro, situazioni diverse abbiano diverso trattamento.

L’unicità intrinseca della famiglia, per la sua peculiare ed insostituibile funzione di levatrice delle future generazioni non tollera, pertanto, alcuna equiparazione normativa. Non per le unioni eterosessuali, in quanto esse, per insindacabile scelta personale, rifiutano l’insieme di diritti/doveri reciproci che regolano l’istituto familiare (regime patrimoniale, solidarietà e sostegno anche morale, ecc). E non è serio proporre una specie di matrimonio di seconda categoria a chi voglia mantenere lo stato libero, né d’altronde questi potrebbe invocare per sé tutele riconosciute ai coniugi a fronte della evidente rilevanza sociale della famiglia.

Non per le unioni omosessuali le quali, per ovvie ragioni, non possono sviluppare, al loro interno, alcuna genitorialità (l’adozione di minori abbandonati presuppone necessariamente un modello familiare con due figure genitoriali distinte). Quello della legge per le unioni civili è, pertanto, un falso problema gonfiato da potenti lobbies omosessuali, non essendovi alcuna esigenza sociale che la giustifichi, come il flop dei relativi registri ha dimostrato (in oltre 10 anni, in quello di Pisa, su 100.000 abitanti solo 34 unioni risultano iscritte, di cui 2 omosex!).

Il diritto privato contempla già figure giuridiche (contratti, convenzioni, testamento ecc.) idonee a regolare i rapporti di convivenza, e già vi sono leggi e giurisprudenza che regolano singole situazioni rilevanti(es. successione del convivente nella locazione; diritto all’abitazione dell’ex convivente col figlio naturale; ecc.). E’ importante osservare che in queste affermazioni non vi è alcuna ingerenza di convinzioni religiose, e precisare che è dovere non dei soli credenti, ma dell’intera comunità (atei compresi), tutelare, per le preminenti enunciate ragioni di ordine pubblico, l’istituto familiare come consegnatoci dalla nostra tradizione giuridica e contemplato nella Carta.