Viene a mancare il cuore del Natale

babbo_nataleIl Popolo settimanale della diocesi di Tortona del 29  novembre 2006

Un segnale preoccupante: non si vendono più presepi 

don Maurizio Ceriani

La notizia battuta in questi giorni dalle agenzie di stampa e rilanciata da molti Tg non è certamente, a prima vista, una delle più importanti o urgenti su cui soffermarsi in questo periodo; eppure è sintomatica di un declino culturale inarrestabile per il mondo cattolico italiano.Parlo di quella “curiosità” finita su molti servizi di costume della scorsa settimana: dagli scaffali di gran parte dei centri commerciali sono scomparse le statuine del presepio. Non si tratta assolutamente di un voluto boicottaggio del Natale cristiano, ma di un semplice indicatore di mercato.

Statuine e accessori per il presepio si vendono sempre meno, quindi il loro spazio si riduce o si annulla a favore dei più richiesti e venduti addobbi dell’albero o degli ultimi ritrovati “natalizi”, come i villaggi invernali con tanto di lucine, neve e babbi natale.

Sappiamo benissimo come l’inesorabile legge del mercato, fondata sull’efficacissimo rapporto richiesta-offerta, non faccia sconti a nessuno e non abbia pregiudizi di sorta; davanti al commercio siamo veramente tutti uguali, eguagliati dalla capacità di far scivolare denaro nelle casse oppure no.

Chi non fa vendere è destinato a sparire dagli scaffali, ad essere soppiantato da ciò che è più richiesto e quindi più redditizio. Così ciò che non riuscì nemmeno ad Erode, riesce tranquillamente alla grande distribuzione dell’autunno 2006: sopprimere il Bambinello!

La cosa è veramente triste, perché il mercato è un’ottima spia della tendenza culturale di un popolo, e il campanello d’allarme che deve risuonare nelle orecchie dei Cattolici è che anche il Natale è ormai giunto alla scristianizzazione.

Badiamo bene che la causa non sta in nessun atteggiamento persecutorio, in nessuna limitazione di diritti, in nessuna campagna diffamatoria, ma in una mortale debolezza interna del cattolicesimo nostrano, fatta di tiepidezza, di mancanza d’identità culturale, di oblio delle proprie radici e del significato dei propri simboli.

Il presepio non perde terreno perché non occupa più il posto d’onore nelle aule scolastiche o non viene allestito negli spazi pubblici, ma perché, ancor più tristemente, trova sempre meno spazio nelle case. C’è da chiedersi che cosa possa considerarsi il Natale senza la nascita di Cristo, a che cosa si riduca anche culturalmente la festa del 25 dicembre, senza quella domestica e suggestiva rappresentazione plastica dell’evento che ha cambiato la storia del mondo che è il presepe.

Valeva più di mille catechesi quel rito che abbiamo tutti vissuto da bambini, quando – all’interno di una vera e propria liturgia familiare – nelle nostre case si allestiva il presepio. Attraverso quel gesto passava da una generazione all’altra la fede; si riaffermava la consapevolezza di un’identità culturale ben precisa, con le sue tradizioni, i suoi simboli, i suoi tempi sacri.

Ogni statuetta, collocata al suo posto preciso, riannodava il filo ininterrotto di un’antica appartenenza cristiana che, anche quando non coincideva con una pratica religiosa attenta e fervorosa, testimoniava chiaramente un mondo di valori condivisi, un retroterra di principi in cui ci si ritrovava, un’educazione che non si rinnegava e che si voleva trasmettere ai più giovani.

Per noi Italiani il presepio dovrebbe pure costituire un simbolo preciso di identità nazionale, un vero e proprio orgoglio patrio, in quanto – non dimentichiamolo – fu inventato dal patrono d’Italia, San Francesco, in quell’angolo incantato della Penisola che è Greccio, incastonato tra il “paesaggio presepiale” delle dolci colline umbre.

In un momento storico in cui ogni stravaganza, per non dire ogni aberrazione, trova la sua espressione d’orgogliosa affermazione, sembra che soltanto il cristianesimo sia rinunciatario nei confronti dei suoi simboli e della sua precisa identità; che accetti di stemperarsi in un’insipida miscela di buonismo e di solidarismo. Un sinistro desiderio di annullarsi, un “cupio dissolvi” dal tetro odore mortifero, sembra avvolgere la cultura cristiana, sempre più incapace di porsi con la forza di tratti marcati, identificanti e qualificativi.

Certo la cultura cattolica è minoritaria, eppure l’ora presente ci offre un campionario assai vasto di minoranze sociali, culturali e politiche capaci di farsi rispettare e molto spesso anche di imporsi su larghe maggioranze. Si potrebbe pensare, all’indomani di Verona, a semplici ma incisive strategie per riaffermare un’identità e una presenza, che non potrebbero avere se non un unico punto di partenza e di forza: il mistero dell’Incarnazione.

Si comprende allora quanto importante sia che nelle nostre famiglie non venga a mancare il presepe, e che lo sguardo meravigliato di adulti e bambini si fissi contemplativo sul Bimbo di Betlemme. È semplicemente l’orgoglio, questa volta per nulla peccaminoso, di essere cristiani!