Ambiente? No, Creato

creatoIl Timone n.57 novembre 2006

Nella giornata di preghiera dedicata al tema, è passata l’immagine di una Chiesa Papa compreso – accodata ai movimenti ecologisti. Ma la visione cattolica è diametralmente opposta all’ambientalismo dominante. Ecco perché….

di Riccardo Cascioli

Ambiente e creato sono due termini equivalenti? Difesa dell’ambiente e salvaguardia l creato sono concetti ana­loghi? Sono domande che nascono natu­rali dopo che la Chiesa italiana ha deciso di istituire per il 1° settembre la Giorna­ta della Salvaguardia del Creato e di de­dicare l’intero mese di settembre alla ri­flessione sul tema. Si tratta di un’iniziati­va importante perché offre l’occasione di approfondire una prospettiva cattolica su un tema che è ormai dominante nell’opi­nione pubblica, ma che tanta confusione genera anche tra i cattolici.

Prova ne è che le parole pronunciate per l’occasione dal Papa e il messaggio dei vescovi italiani sono stati riportati dai mass media nazionali in un modo da far pensare all’ennesima festa dell’ambien­te con l’unica differenza che è organizza­ta dai cristiani con il loro linguaggio parti­colare e – diciamocelo pure – un po’ de­modé. Lo stesso Benedetto XVI, grazie anche alle prese di posizione del WWF e del ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, è stato arruolato d’ufficio nell’eserci­to ambientalista.

A maggior ragione dun­que è necessario soffermarsi sul significa­to di questa celebrazione che, malgrado le apparenze, è in totale controtendenza rispetto all’ecologismo dominante. Non c’è dubbio infatti che quest’ultimo discende da una visione negativa del­l’uomo, elemento di disturbo di una natu­ra che – sottinteso – sarebbe in condizio­ni molto migliori se l’uomo non ci fosse.

L’ambiente così inteso è perciò sostan­zialmente “altro” rispetto all’uomo, e que­st’ultimo ci può vivere a patto che non si muova, che faccia meno attività possibi­le, e soprattutto metta al mondo meno fi­gli possibile perché – si sa – ogni perso­na che si aggiunge è un altro carico che pesa sulla natura. Attenzione: il problema non è l’uomo cattivo, ma l’uomo in sé, per il solo fatto di esistere. Si comprende al­lora perché e in che senso si parla di “di­fesa” dell’ambiente: c’è un aggressore, l’uomo, e va messo in condizione di non nuocere.

D’altronde, la Terra è vista co­me un organismo vivente autosufficiente (Gaia) che quindi si “ribella” davanti ai so­prusi dell’uomo (terremoti e altri disastri naturali). Siamo di fronte quindi a una vi­sione neo-pagana, con una differenza im­portante rispetto al paganesimo classico: allora la divinizzazione della natura nasce­va da una riflessione sulla natura stessa, che veniva percepita come enormemente più grande dell’uomo e inspiegabile. Og­gi, invece, la divinizzazione della natura nasce da una riflessione negativa sull’uo­mo, considerato “aggressore” e “parassi­ta”, tanto per usare due espressioni mol­to ricorrenti.

Ben diversa la concezione ebraico-cri­stiana: l’osservazione della realtà e la ri­velazione spingono a parlare di creato, il che pone in rilievo anzitutto l’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende. La ter­ra non è dunque un organismo autono­mo che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la “febbre” (non a caso il riscaldamento glo­bale viene spesso descritto come “la feb­bre del pianeta”), ma è dono di Dio all’uo­mo. L’uomo, dunque, non solo è parte del Creato, ma è la prima tra le creature.

Ne discende, tra l’altro, che esiste una gerar­chia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi; cioè la superiorità dell’uomo non nasce da un più avanzato livello di evolu­zione – essenzialmente prodotto dal caso -, ma da una diversità che c’è proprio al­l’origine dell’essere. D’altro canto proprio perché è creatura, l’uomo deve rendere conto al Creatore. Cioè, la superiorità su­gli altri esseri non è disponibilità assolu­ta che legittimi lo sfruttamento selvaggio; al contrario è una responsabilità di fron­te agli altri uomini e a Dio; l’uso che viene fatto della natura deve essere in accordo con il piano di Dio.

Ma qui nasce un’altra importante dif­ferenza con la mentalità ambientalista odierna: mentre questa parla di “difesa” dell’ambiente, il linguaggio cristiano usa il termine “salvaguardia”. Anche qui sia­mo in presenza di concetti radicalmente diversi.

Difesa, in effetti, non solo rimanda al fat­to che ci sia un aggressore, ma anche al fatto che l’obiettivo è la conservazione, mantenere le cose così come sono, in­tatte. Tanto è vero che si fa spesso rife­rimento al “mantenere” le cose per le ge­nerazioni future così come noi le abbiamo ricevute. Non stupisce dunque che i pri­mi movimenti ecologisti, alla fine dell’Ot­tocento, sono in realtà organizzazioni per la conservazione della natura.

E tuttoggi la politica delle riserve naturali, sia terrestri che marine, è uno dei pilastri dell’ambientalismo. Non è però questa la visione cattolica del rapporto uomo-natura. L’uomo, infatti, come ricorda anche l’enciclica di Giovanni Paolo II Laborem Exercens (n 25), partecipa alla creazione. Anzi, è chiamato a questa collabora­zione; ed è qui che si gioca la sua libertà: se segue il progetto di Dio l’uo­mo rende la creazione più bella e più umana; se persegue il proprio pro­getto invece “sfigura” la creazione.

La storia da ragione a questo approc­cio cristiano: non c’è dubbio che ad esempio tanta della bellezza d’Italia – dalle città d’arte alle località turistiche in montagna o al mare – sia do­vuta proprio alle mani dell’uomo. Basti pensare ai lavori di bonifica avviati già dai monaci benedettini nell’Alto Medioevo per non parlare delle grandi opere di idraulica e canalizzazione volute dai Papi, fino alla lenta ma pro­gressiva trasformazione della montagna grazie alle popolazioni locali.

In questo senso, allora, il termine “salvaguardia” rimanda al concetto di “custodia”, dove il custode è chiamato a far crescere e ad abbellire il ter­reno che il padrone gli ha affidato. In questo modo la preoccupazione non è tanto quella di mantenere qualcosa per delle ipotetiche generazioni fu­ture, ma vivere nel modo corretto e responsabile il presente per rispon­dere ai bisogni delle concrete persone di oggi; è con questa posizione che nell’Occidente cristiano storicamente si sono sempre create maggio­ri e migliori risorse per le generazioni future. Perché, come nella parabo­la dei talenti, chi cerca di conservare finisce di perdere anche quel poco che ha.

Ricorda:

«La via cristiana rimane l’unica che veramente salva. In essa è presente la convinzione che possiamo essere realmen­te “creativi” solo in unità col Creatore del mondo. Possia­mo servire veramente la terra solo se ci poniamo di fron­te ad essa secondo le indicazioni della parola di Dio. Allora possiamo realmente far progredire e perfezionare noi stessi e il mondo”.

(Joseph Ratzinger, Creazione e peccato, Lindau, 2006)