Laogai. I Gulag cinesi

laogai_3informazioni e premessa all’edizione italiana del volume  di Hongda Harry Wu

Hongda Harry Wu LAOGAI. I GULAG CINESI Ed. L’Ancora del Mediterraneo  

in collaborazione con Toni Brandi The Laogai Research Foundation

disponibile presso la libreria  Theseus

[il contenuto] Per mantenere il potere e reprimere il popolo, ogni dittatura necessita di un sistema carcerario, sia esso un campo di concentramneto o di lavoro. Nel primo caso il fine perseguito è l’eliminazione del prigioniero; nel secondo caso lo sfruttamento dei detenuti acquista una valenza economica. I campi correzionali della Cina comunista (laogaidui) esistono da oltre quarant’anni, e rivaleggiano sotto ogni punto di vista – per crudeltà, fini e numero di prigionieri – con i loro omologhinazisti e sovietici.

Sono sopravvissuto a diciannove anni di prigionia in un campo di lavoro e avverto l’esigenza di un’indagine sui gulag nella Repubblica popolare cinese perché il mondo conosce ben poco diessi: a mantenere e ispessire la cortina del silenzio, concorrono le differenze politiche e culturali tra Est e Ovest, gli interessi strategici occidentali e il successo della propaganda a lungotermine e la segretezza del Partito comunista cinese.

Spero che un giorno le autorità cinesi si decidano a rivelare al mondo la reale portata dei laogaidui. Hongda Harry Wu [l’autore] È una storia che risale all’ottobre 1956. Hongda Harry Wu, giovane studente, commenta criticamente l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, che aveva sedato nel sangue una rivolta popolare.

Viene prima sottoposto a indagine e successivamente arrestato: trascorrerà diciannove anni rinchiuso nei laogai, i campi di rieducazione e lavoro voluti da Mao. Wu è nato nel 1937 a Shangai dove ha seguito le scuole cattoliche. Fuggito dalla Cina, dagli anni Ottanta del Novecento vive a Washington dove ha fondato la Laogai Research Foundation, che studia la particolarità cinese dei gulag e soprattutto i suoi addentellati ecomici nella produzione di merci che invadono il mondo.

premessa all’edizione italiana

di Hongda Harry Wu

Questo è stato il primo libro a denunciare il sistema dei laogai, i campi di concentramento attivi in Cina fin dalla seconda metà del secolo scorso, dove milioni di donne, uomini, bambini sono condannati ai lavori forzati a vantaggio del regime e delle numerose multinazionali che investono e producono in quel paese (eccezione significativa il caso della Volvo che rifiutò le loro “offerte”, narrato e documentato nelle pagine che seguono).

Ho scritto che queste persone sono condannate ai lavori forzati. Ma si tratta di un eufemismo in un paese in cui non c’è alcuna garanzia giuridica, né la possibilità di difendersi, dove si viene accusati di crimini non sempre veritieri, incarcerati e, dopo un sommario processo, inviati in campi di lavoro dove vige il detto che «chi entra non esce». Qui le condizioni di lavoro sono orribili, pestaggi e torture all’ordine del giorno, il cibo somministrato in rapporto alla quantità di lavoro.

Il laogai accoglie, oltre a delinquenti comuni, non solo gli oppositori del regime, ma persino coloro che esprimono anche una semplice critica al governo. Per non parlare di chi ha idee diverse o professa una religione: è recente la notizia dell’incarcerazione di alcuni vescovi cattolici; ma per quanto la Chiesa ha dovuto scontare sotto i regimi comunisti basta leggere le illuminanti pagine di Van Thuan dal gulag di Saigon.

Ma tutto questo non è storia passata, perché in Cina i laogai prosperano. Tutt’oggi. Abbiamo la certezza che per lo meno mille campi di lavoro sono attivi e sostengono l’economia del paese, grazie anche a un’esportazione sempre più capillare sui mercati internazionali. Inoltre sappiamo che la pena di morte prospera, arrivando a 10.000 esecuzioni l’anno (basta controllare i dati di Amnesty International). Come se non bastasse, ai condannati a morte viene regolarmente praticato l’espianto di organi per rispondere al numero sempre più elevato di richieste per i trapianti; o il prelievo di collagene dalla pelle per produrre cosmetici.

Ma questo libro non è solo una denuncia, è anche la testimonianza di una vittima. Ho trascorso diciannove anni nei laogai. E dal giorno in cui ho lasciato la Cina ho speso tutte le mie energie per mantenere la promessa che avevo fatto a me stesso quando su un carretto lasciai il campo 586 della fattoria Qinghe, passando davanti alle fosse comuni: raccontare, indagare, denunciare e rivelare al mondo la vera natura del laogaidui. Da questa volontà è nata la Laogai Foundation di Washington, che ha anche una sede in Italia. Tutto questo nella speranza che un giorno il laogai venga ricordato accanto ai nomi di Treblinka e Kolyma.

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