Musulmani, le prove da superare

IslamCorriere della Sera, 11 settembre 2006.

di Vittorio Messori

Parole importanti, quelle di Benedetto XVI  sulle “popolazioni d’Asia e d’Africa“ che si sentono minacciate da una cultura come quella dell’Occidente che, cinicamente, nulla considera sacro, sulla base di una ragione che degenera in razionalismo, di “un drastico illuminismo e laicismo“. L’agnosticismo, l’ateismo, il rifiuto della religione: questo, non il cristianesimo autentico, sarebbe causa di sgomento per le altre culture. Parole importanti, dicevamo; ma che –nel breve spazio di un’omelia– non possono esaurire un quadro complesso, dove ogni schematismo sarebbe abusivo. Ovviamente, quello straordinario teologo che è Joseph Ratzinger  è il primo ad esserne consapevole.

A Monaco, non ha nominato esplicitamente l’Islam, ma su di esso si è appuntato subito l’interesse dei commentatori. Ebbene, poiché ci si chiede di restare noi pure ai musulmani (diverso sarebbe il discorso per altre religioni) non va dimenticato che, in Medio Oriente e altrove, c’è una endiadi indissolubile, contro la quale si indirizza l’odio dei musulmani: “giudei e crociati“. Crociati: dunque, eredi di una cristianità medievale che ancora nulla sapeva di secolarizzazione.

L’islam, poi, è unito dall’orrore per quel crocifisso che in Occidente gli immigrati vorrebbero far sparire dai muri di scuole ed uffici pubblici. La sua vista è intollerabile. In quel segno, in effetti – che è il cuore del cristianesimo che il razionalismo rifiuta-  c’è quanto più indigna un credente nel Corano: l’idea che Allah, il Radicalmente Uno, l’Inaccessibile, possa avere un Figlio e che questi muoia nel modo disonorante degli schiavi.

Gli esempi potrebbero continuare, per confermare come, nei secoli,  l’ostilità anticristiana fu tanto più viva, quanto più l’Occidente si ispirava  al Vangelo e non al cosiddetto “libero pensiero“. Per prendere dall’oggi un solo particolare, nei  Paesi a maggioranza musulmana è vietato al clero cristiano quanto rappresenta, da noi, il segno di una religiosità anti-modernista: indossare in pubblico, cioè, la talare o il saio.

Per andare oltre: non sono pochi coloro che pensano che proprio  quel “drastico illuminismo e laicismo“ denunciati, giustamente, da Benedetto XVI spaventino sì gli islamici consapevoli, ma perchè vi individuano un pericolo che per essi potrebbe essere mortale. In effetti, l’Occidente moderno ha distillato dei veleni ma (sarebbe ingiusto e antistorico negarlo) ha affermato anche dei valori.

Da oltre due secoli, questo Occidente ha fatto passare la “sua“ religione attraverso un crogiolo arroventato. Un dramma, certo, ma che ha portato pure a risultati positivi. Sul piano socio-politico le Chiese, in particolare quella cattolica, hanno visto sradicata violentemente la simbiosi con il potere secolare.

La fine dell’Ancien Régime ha provocato una crisi che ha potuto essere superata grazie all’evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio“. Sul piano teologico, l’aggressione si è concentrata  sulle basi stesse, sulla storicità della Scrittura, in particolare del Nuovo Testamento. Anche qui, i credenti hanno retto all’urto: i testi sacri, per loro, sono ispirati da Dio ma redatti dall’uomo, sono al contempo infallibili nella sostanza e fallibili per quanto riguarda la redazione, che ha   obbedito a diversi generi letterari .

C’è una “elasticità“ del cristianesimo (retto dalla legge dell’et-et, non da quella dell’aut-aut), c’è  una sua capacità genetica di adattamento  che manca del tutto all’islamismo. Relegata da oltre un millennio quasi solo nella zona attorno ai Tropici, con sei secoli in meno rispetto alla fede nel Vangelo, quella nel Corano non conosce separazioni tra sfera religiosa e secolare, tra teologia e diritto, tra credo e politica. Non conosce e non può conoscere frattura tra temporale e spirituale: la Umma, la comunità dei credenti, deve coincidere con la comunità intera.

Nata da e per antiche tribù, quella fede è un blocco,  per essa  la fine dell’Ancien Régime significherebbe la fine della religione, dipendente com’è  da legalismi e da interdetti che le sono essenziali. La mancanza, poi, di una gerarchia, di un’autorità religiosa normativa per tutti i credenti rende ancor più inestricabile il legame con le autorità politiche. La diaspora, alla lunga, le è fatale.

La “rigidità“ musulmana si manifesta anche nella sua fonte dottrinale: il Corano è intoccabile, ogni sua parola è stata dettata a Muhammad dall’arcangelo Gabriele come “portavoce“ fedelissimo di Allah, la sua intangibilità è tale da far considerare come blasfema ogni traduzione dall’arabo antico.

Che accadrà, quando la Scrittura musulmana sarà passata all’impietoso vaglio critico occidentale  cui è sottoposta, da ormai due secoli, la Scrittura ebraico-cristiana? Quale credibilità conserverà quel testo, sottoposto a un’esegesi scientifica? Come prenderlo ancora per base infallibile?

Veleni l“ l’illuminismo e il laicismo drastici“? Ci mancherebbe, per un cristiano lo sono. Ma ad essi, malgrado tutto, la fede è sopravvissuta. Spesso, anzi, ne è stata purificata. Avverrà lo stesso per l’Islam che vi si immerge ora? La domanda  è giustificata