Famiglie ai margini a colpi di trattative

ricevimento_scuolaAvvenire, 18 luglio 2006

Modifiche importanti nei rapporti con la scuola.

di Eugenia Roccella

La massima politica forse più citata in Italia è quella su cui Tommasi di Lampedusa ha costruito il suo Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Per l’Italia di oggi lo slogan sembra funzionare al rovescio: se vogliamo che tutto cambi, bisogna lasciare tutto com’è.

Le difficoltà interne alle coalizioni, che non permettono una posizione unitaria su molti temi, e le difficoltà dovute all’esiguo margine di maggioranza al Senato, spingono il centro-sinistra a inventarsi nuove strategie d’intervento. Fare nuove leggi secondo la normale procedura, cioè attraverso il dibattito e il voto parlamentare, presenta rischi eccessivi; si cerca allora di aggirare gli ostacoli agendo attraverso delibere del Parlamento europeo, come ha fatto il ministro Mussi, o attraverso i Consigli regionali; o anche tramite semplici modifiche dei regolamenti, magari forzando l’interpretazione di alcune norme. Tutto, apparentemente, rimane com’è, ma nella sostanza le leggi vengono stravolte, svuotate di significato, rese inoperanti.

Naturalmente è del tutto legittimo che si voglia intervenire su normative ereditate dal precedente governo. È necessario, però, accettare il libero gioco delle maggioranze parlamentari, per quanto possa essere denso di incognite, perché alla lunga questo metodo mina la fiducia dei cittadini nei confronti della politica e indebolisce le stesse istituzioni.

L’ultimo caso è offerto dalla legge Moratti sulla scuola d’infanzia, che sembra sarà modificata direttamente per via sindacale. Nel testo della proposta di accordo che si discute in questi giorni tra i sindacati della scuola e l’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, si legge infatti: «Sono disapplicati l’art. 7 – commi 5, 6 e 7 – e l’art. 10 – comma 5 – del decreto legislativo n. 59/2004». Si tratta degli articoli che riguardano l’intensificazione del rapporto tra scuola e famiglia, grazie alla figura del tutor, e la personalizzazione dei piani di studio. L’intenzione legislativa era quella di evitare l’appiattimento didattico, dando spazio alle differenze individuali e cercando una sintonia maggiore tra educazione scolastica e familiare.

Chi è genitore sa quanto sia delicato il problema, e quanto spesso il rapporto tra scuola e famiglia si risolva in una forzata delega in bianco della seconda alla prima. Non si può dichiarare di voler valorizzare la famiglia, e poi mettere ai margini la responsabilità genitoriale, come fosse un’interferenza indebita nel compito formativo.

Se il ministro dell’istruzione, Fioroni, non ritiene adeguati a questo fine gli strumenti previsti dalla legge Moratti, proponga alternative; se invece preferisce ribadire l’assoluta autonomia pedagogica della scuola pubblica, anche nella più tenera età, tenendo i genitori fuori dai confini scolastici, lo dica con chiarezza, e soprattutto apra una discussione di merito nella sede appropriata, il Parlamento.

Il ministro ribatte alle critiche sostenendo che mancherebbero «le condizioni essenziali per poter procedere all’attuazione degli istituti che oggi sono stati disapplicati». Detto in altre parole, ai sindacati quelle norme non piacciono, dunque spariscono. Fioroni glissa sulla sostanza politica della questione, e si impegna a lavorare per arrivare a «soluzioni largamente condivise». Vedremo. Però sappiamo già che le famiglie non hanno strumenti di contrattazione, e che perciò contano assai meno dei sindacati della scuola; meno anche dei tassisti.