Genio nonostante i suoi geni

Grégory Katz Bénichou

Grégory Katz Bénichou

Il Foglio 1 luglio 2006

Bello e intelligente. A Parigi c’è un farmacologo umanista che il biotest del Dna non avrebbe mai autorizzato a nascere. Storia di Grégory Katz Bénichou raccontata da lui medesimo

Marina Valensise

Il professore è bellissimo. Immaginatevi un Gregory Peck europeo, ma senza spavalderia. Alto, atletico, composto, una fila di denti bianchissimi, Grégory Katz Bénichou ha modi urbani, compiti ma spontanei. Sarà anche un seduttore, chissà? Di sicuro, è un tipo assai alla mano, se non lascia passare nemmeno un’ora tra la richiesta di appuntamento per un’intervista e l’intervista stessa.

Forse anche lui è abitato dalla sensazione di avere poco tempo, forse pensa di essere insidiato dalla fretta, come che sia l’incontro avviene subito, nella caffetteria dell’Essec, la grande scuola privata, fucina di manager e dirigenti di impresa, che ha aperto una nuova sede ipermoderna al Cnit, centro delle nuove industrie e tecnologie, sotto l’enorme semicupola di vetro a destra dell’Arca di Otto von Spreckelsen alla Défense, dove i grattacieli di vetro e i lastroni in granito trasformano Parigi in una Seattle, una Phoenix o una Singapore, in gara per l’arditezza architettonica.

Pur avendo solo trentacinque anni, Grégory Katz Bénichou insegna qui all’Essec da due. Ha la cattedra di Etica e Biotecnologie che porta il nome di Sanofi Aventis, uno maggiori colossi dell’industria farmaceutica, primo in Europa, terzo nel mondo, che l’ha finanziata con l’intento di formare i futuri manager dell’industria della salute, e sviluppare una riflessione etica sulle scienze della vita e le nuove sfide della bioingegneria. Certo, Grégory Katz Bénichou aveva tutti i titoli per essere investito del delicato compito.

Un doppio dottorato, in filosofia e in farmacia, conseguito alla Sorbona e a Paris V, un Master in business administration preso all’Essec, esperienze di lavoro a Singapore, dove ha insegnato etica degli affari per conto dell’Insead, altra fucina specializzata nella formazione di élite tecnocommerciali, e soprattutto un saggio impegnativo dal titolo programmatico,“ Le Chiffre de la vie: réconcilier la génétique et l’humanisme”, uscito nel 2002 e salutato da molti come uno dei pochi libri davvero indispendabili per entrare nel nuovo millennio.

Modesto come è giusto che sia un vero studioso, del suo brillante curriculum Katz Bénichou non parla. Nulla lascia trapelare all’inizio del nostro incontro che segue un andamento asettico e ipertecnologico. Approdati nello studiolo di un collega, il professore tira fuori il biglietto da visita, accende il pc e inizia la dimostrazione. Ecco il grafico, e uno già s’immagina il lucido che verrà ammannito agli studenti. Ecco i dati, ecco la congiuntura… Eppure per due ore non sentiremo nulla di prefabbricato, ma una disquisizione fervente sulla deriva contemporanea di scienza e tecnica, alimentata da una serie di interessi convergenti.

Il professore è giovane, ma non si fa illusioni. “L’offerta e la domanda sono tali che oggi il legislatore non fa che correre dietro l’interesse economico. Esistono tecniche innovative che per essere redditizie richiedono grossi investimenti. E questo innesca un circuito di promozione e marketing che coinvolge i media e i vari promotori dei test sulle cellule staminali tratte dagli embrioni”.

Katz Bénichou parla di test genetici, descrive la nuova frontiera della farmacogenetica, scienza carica di promesse che adatta il farmaco in funzione della disposizione genetica di ciascuno di noi. Parla di medicina riproduttiva e di medicina rigenerativa e del gioco subdolo che le collega sul mercato. La medicina riproduttiva produce embrioni in sovrannumero che vengono poi appetiti e utilizzati dalla medicina rigenerativa.

Eppure, obietta, oggi nessuno sarebbe più obbligato a creare embrioni in sovrannumero con la fecondazione in vitro. E cita il caso di Extend Fertility, società americana di avanguardia, fondata da una trentaquattrenne Christy Jones, laurea a Stanford, Mba all’Harvard Business School, la quale ha vinto tutti i premi possibili dell’innovazione tecnologica per essersi inventata la criogenizzazione degli ovuli femminili. E cioè un business cui ogni donna è libera di regolare da sola il proprio orologio biologico e di avere figli attraverso un semplice impianto di ovuli, anche dopo averne finito di produrne per la menopausa.

La cosa in America è perfettamente legale, anche se l’Unesco la vieta. In Francia sarebbe un reato, perché la fecondazione in vitro è limitata ai casi di infertilità o di tare genetiche familiari che richiedono la diagnosi preimpianto. “Più sei vecchia, meno sono le possibilità di avere un figlio. Extend fertility propone di criogenizzare gli ovuli prodotti da una donna a 27 anni, quando è al picco della sua fertilità.

Del resto oggi chi ricorre alla fecondazione in vitro, è già in grado di selezionare il profilo genetico del concepito…” e nel dirlo Grégory Katz Bénichou tira fuori dalla cartella una specie di scatoletta rettangolare di plastica nera, con uno strano visore che la fa somigliare a uno di quei minitelefonini per bambini che si comprano sulle bancarelle.

“Vede questa? E’ un microchip per il test del Dna prodotto dall’Affymetrix, società americana biotech specializzata nella mappatura del genoma umano. Un supporto di silicio permette di osservare le porzioni di cromosomi e scoprire se sono normali o se esiste un rischio genetico, nel qual caso, il microchip a contatto con una soluzione liquida produce una reazione colorata”.

Il test con la scatoletta in America si fa già sugli embrioni creati in provetta e quelli che risultano affetti da un brutto gene vengono gettati via. La microchip costa tra i 500 e i 2000 euro. Solo cinque anni fa il prezzo andava moltiplicato per venti. “La selezione eugenica già avviene”, insiste Grégory Katz Bénichou senza scomporsi. “E’ un eugenismo liberale che dà ai genitori l’illusione della scelta tra un figlio sano o un figlio malato. Ma si tratta di una scelta finta, per modo di dire, visto che nessun genitore vuole avere un figlio gobbo, cieco, zoppo, mentre tutti vogliono utilizzare il test genetico…”.

D’improvviso si ferma, alza lo sguardo, e cercando di vincere la timidezza con un sorriso, confessa: “Vede, se avessero fatto questo test genico sull’embrione che ero trentasei anni fa, non starei seduto qui a parlare con lei… non sarei stato autorizzato a nascere, perché ho pessimi cromosomi, un patrimonio genetico orrendo”.

Disarmante. Pur essendo un bellissimo uomo, con un cervello ben scolpito e un curriculum appassionante, Gregory Katz Bénichou, dunque, ha i geni tarati. Racconta, senza indiscrezione, di avere avuto una leucemia, una forma di linfomablastoma rarissimo che colpisce ogni anno meno di mille casi nel mondo. Racconta di avere conosciuto il dolore, la malattia e quasi la morte.

Dai 25 ai 30 anni dice di avere fatto il giro di un numero spropositato di ospedali parigini, per seguire chemioterapie molecolari di ogni tipo. Dice di aver inghiottito in 5 anni più di 5 milioni di euro di spese mediche, pagate interamente dal contribuente francese, spese che un semplice test genico preventivo, avrebbe contenuto a soli 2500 euro.

Dice di aver vissuto per quattro mesi in una camera sterile, coi medici che gli davano una speranza di vita al 40 per cento e gli suggerivano di persuadere sua madre a concepire un fratello istocompatibile in provetta, (ma lui era contrarissimo e s’ostinava invano a chiedere di conservare il cordone ombelicale del figlio di suo fratello) e i genitori che piangevano oltre i doppi vetri perché non potevano nemmeno abbracciarlo per l’ultima volta, e la ragazza che lo mollava perché era completamente calvo, ridotto a carne e ossa, puzzava di cadavere ed era costretto a rinviare sine die la discussione della tesi e a spremersi le meningi per scegliere gli ultimi libri da chiedere in lettura alle infermere, solo tre perché tanti ne entravano nello sterilizzatore e alla fine la scelta cadde su “La Nuit” di Elie Wiesel, il maestro sopravvissuto ad Auschwitz, il Manuale di Epitteto, e “Il piccolo principe” di Saint Exupéry, favola per adulti disposti a capire che “l’essenziale è invisibile agli occhi, si vede soltanto col cuore”.

Eppure non c’è niente di compassionevole in quel che dice. Grégory Katz Bénichou parla senza enfasi. Non è un dolorista ravveduto. Non usa le parole per commuovere. Il suo è un argomentare lucido e razionale, quasi spietato e comunque senza concessione. Sarà perché è ebreo, cugino in via paterna col grande Paul Bénichou, che fu uno dei più profondi studiosi di letteratura francese, autore di saggi sublimi, come “Les Morales du Grand Siècle”, “Le Sacre de l’Ecrivain”.

Sarà perché è nipote per parte di madre di un’ebrea polacca che riuscì a fuggire da Auschwitz e quando lui era piccolo se lo teneva sulle ginocchia e invece di leggergli la favola di Biancaneve e i sette nani, gli raccontava dei tentativi di fuga dal lager, della delazione dei kapò, delle montagne di cadaveri incombenti e delle marce a piedi nudi sulla neve gelata… sarà perché anche lui alla fine è riuscito a farsi temprare dal dolore e superarlo, sarà per tutto questo che l’intrusione del privato non devia affatto il professore dalla sua lezione.

Grafico sottomano, tono imperturbabile, il farmacologo-umanista descrive le tappe inquietanti dell’innovazione nelle scienza della vita. Dal 1980 con la fecondazione in vitro per coppie sterili, l’ammniocentesi, l’ecografia, l’analisi dei villi coriali, gli aborti, spiega, avvenivano nell’utero, con enormi sofferenze della madre.

Nel 1988, con la diagnosi preimpianto, l’ortogenia comincia a farsi in provetta, testando il patrimonio genetico dell’embrione con un microchip che evita alla madre traumi e sofferenze. Poi, la tecnica si perfeziona. Con la diagnosi preimpianto, si arriva all’Icsi, l’iniezione di sperma dentro il citoplasma, riservata a quei padri sterili i cui spermatozooi deboli di coda, non riescono a bucare l’ovulo e fecondarlo. A quel punto, però, la tecnica scopre l’eterogenesi dei fini. Voleva porre rimedio alla sterilità, ma finisce per propagarla con la generazione.

Il bambino generato dall’embrione creato con l’Icsi risulterà sterile come suo padre. A qualcuno allora viene in mente la decontaminazione germinale, e cioè pulire il gene agendo direttamente sul seme. Per non diffondere le malattie genetiche non si selezionano più gli embrioni, ma i semi stessi che formano gli embrioni. S’apre così la strada all’eugenismo positivo, che inizia nel 1999, con la selezione di ovuli e spermatozooi ad alta portata genetica, per favorire la nascita di embrioni sani. Il passo successivo sarà la compatibilità, e arriviamo ad oggi.

Si vuole trovare un embrione capace di dare cellule staminali che siano istocompatibili per favorire trapianti e ricreare organi. Perché allora non usare gli embrioni creati in vitro dalla medicina riproduttiva, non utilizzati e abbandonati nelle gabbie di azoto sottogelo?

“La chiesa cattolica dice no, e pone il veto in nome della difesa della vita. Io da ebreo, dice Grégory Katz Bénichou, difendo la visione cristiana, perché stiamo inventando una nuova forma di schiavitù. Stiamo creando una gerarchia nella specie umana, tra le cose da utilizzare in modo strumentale, come gli embrioni, e le persone soggette di diritto. La medicina rigenerativa usa gli stessi argomenti con cui una volta si difendeva la schiavitù”.

E la dimostrazione in nome della libertà è tutta filosofica. Intanto c’è la biologia: “Gli schiavi sono simili agli animali, predestinati dalla natura a portar pesi” scriveva Aristotele nel primo libro della politica. Oggi i clonatori eugenisti pensano la stessa cosa; quando dicono che l’embrione è solo un grumo di cellule facilmente divisibili, e non una persona con gambe e braccia, non fanno altro che predeterminarne lo statuto morale in base all’aspetto biologico. Poi c’è la logistica: “Come il ghetto o il campo di concentramento predetermina lo statuto morale di chi ci vive, così la provetta predetermina l’uso strumentale dell’embrione”.

Infine c’è la teleologia: altro sofisma che inferisce la dignità di un essere dal suo stesso fine. “Le staminali embrionali servono alla medicina rigenerativa? L’embrione diventa farmacopea vivente”. E’ questo il paradosso oscurantista di chi ha una fede cieca nel progresso ma finisce per ricreare un’ontologia scalare, una gerarchia della specie, scomponendo in vari stadi lo sviluppo dell’umano, ootide, embrione di 15 giorni, feto di 8 mesi, bambino di 1 anno, uomo di 40, uomo di 70, assegna a ciascuno di essi un valore relativo. Significa negare il principio cardine dell’umanesimo, la dignità dell’uomo celebrata da Pico della Mirandola, l’idea cioè che gli uomini, dal punto di vista del loro statuto morale, sono tutti uguali.

Tale è la confusione che in Francia oggi ci sono scienziati che siedono nel Comitato di etica, come Henri Atlan, i quali vorrebbero addirittura creare cloni anencefalici, “una specie di lombrichi, a partire da embrioni umani che non possono sviluppare cervello e colonna vertebrale e dunque sarebbero privi di anima, il che leva di mezzo ogni scrupolo”.

Ma senza arrivare a questi eccessi, si pone già un altro problema. Una volta selezionati embrioni ad alto profilo genetico, si arriva a una cauzione genetica ottimale, che però è quella che sul piano dell’evoluzione comporta minori variazioni. Senza pensare alla tristezza di un’umanità priva di picchi di eccellenza o di stoltaggine, il dilemma è grave in sé: “Faremo figli spegnendo la luce, alla cieca, sotto le lenzuola, con cromosoni  a  rischio, o ricorrendo alla provetta trasparente?”

E le conseguenze sono già allarmanti, se è vero che solo chi avrà una buona cauzione genetica potrà accendere un mutuo in banca o ottenere una polizza vita. Non per niente le compagnie di assicurazioni fanno forti pressioni per l’uso dei testi genici. In America Kaiser e Aetna, che assicurano 30 milioni di persone, hanno già siglato un accordo con Myriad Genetics Inc. che ha brevettato il test per identificare sull’embrione il gene del tumore al seno.

Non parliamo dei ginecologi, “gli unici medici che hanno interesse a uccidere per non finire in tribunale”. Se per mandarli sotto processo oggi basta una sofferenza fetale dall’esito imprevedibile, potranno mai resistere al marketing del biotech, che offre la fecondazione in vitro con test genico incorporato? E che dire della concorrenza tra le cliniche di fronte alla richiesta di selezione germinale del sesso, vietata in Europa dalla Dichiarazione sul genoma del 1997, ma già possibile in America e molto ambita in India e Cina, dove vive metà della popolazione mondiale?

“Sono troppi e troppo forti gli interessi in gioco, perciò, sull’eugenismo non c’è via d’uscita”. Eppure, Grégory Katz Bénichou non si dà per vinto. Da anni, infatti, con Eliane Gluckman lavora sulle staminali estratte dal sangue del cordone ombelicale, meno pericolose delle embrionali che crescono così rapidamente da sviluppare tumori, e ben più efficaci, visto che in 10 anni hanno curato 6000 pazienti.