Alfred Rosenberg, «Il mito del secolo XX» e i suoi avversari (1)

Alfred Rosenberg

Alfred Rosenberg

Cristianità n. 325 (2004)

Un contributo alla storia del conflitto fra Chiesa cattolica e nazionalsocialismo

di Ermanno Pavesi

1. Alfred Rosenberg e «Il mito del secolo XX»

Alfred Rosenberg, l’ideologo ufficiale del nazionalsocialismo, ha esposto le sue teorie in modo sistematico e completo nella sua opera più importante, Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelisch-geistigen Gestaltenkämpfe unserer Zeit, «Il mito del secolo XX. Una valutazione delle battaglie spirituali del nostro tempo» (1).

L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1930, ha avuto numerose ristampe ed è giunta, alla fine della seconda guerra mondiale (1939-1945), a una tiratura complessiva di 1 milione e 100 mila copie. La pubblicazione di Der Mythus non ha raccolto solamente larghi consensi all’interno del Partito Nazionalsocialista e in ambienti nazionalisti, ma ha provocato anche discussioni e decise resistenze, alle quali Rosenberg ha risposto in diverse occasioni.

La lettura di Der Mythus è indispensabile per comprendere l’ideologia del nazionalsocialismo, mentre dalle reazioni di Rosenberg è possibile rendersi conto di quali fossero i suoi avversari, cioè di chi allora ha reagito contro le sue tesi e in genere contro l’ideologia nazionalsocialista.

2. La vita

Alfred Rosenberg nasce il 12 gennaio 1893 a Reval, nell’Impero degli Zar — oggi Tallinn, in Estonia — da una famiglia appartenente da generazioni alla minoranza tedesca del paese baltico. Lo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) mette fine a un clima di pacifica convivenza della comunità tedesca con la popolazione slava. La nuova situazione pone in modo acuto la questione dell’identità nazionale e il giovane Rosenberg comincia a interessarsi delle radici della cultura tedesca e di quella dell’Occidente.

Si appassiona alla lettura di opere di antichità classica, di letteratura e di filosofia tedesca. Ma la lettura di Die Grundlagen des Neunzehnten Jahrhunderts, «I fondamenti del secolo diciannovesimo», pubblicata nel 1899 dallo scrittore tedesco di origine inglese Houston Stewart Chamberlain (1855-1927) (2), gli fornisce un’interpretazione unitaria della storia dell’Occidente e gli suggerisce un atteggiamento critico nei confronti del cristianesimo: «Da allora ho sempre presente il problema del cristianesimo» (3).

Nell’autobiografia Rosenberg ricorda due episodi che lo hanno colpito profondamente durante un viaggio in Germania nel 1911. In una chiesa osserva un giovane contadino inginocchiato davanti a un confessionale e nota: «E io mi sono chiesto: cosa avete fatto al popolo orgoglioso, che non si rende più conto dell’indegnità di un simile inginocchiamento?» (4).

Uscito dalla chiesa, Rosenberg vede in una trattoria un contadino che dà da bere la sua birra al piccolo figlio: «Questa manifestazione di forza e di naturalezza mi ha posto davanti agli occhi quanto in seguito è diventato l’oggetto delle mie considerazioni di filosofia della religione: il rapporto fatale fra una “dottrina rivelata” orientale e lo spirito contadino tedesco» (5).

Dopo le scuole superiori Rosenberg studia architettura prima a Riga, sempre in Estonia, e successivamente a Mosca, dove la facoltà era stata trasferita durante la prima guerra mondiale. A Mosca Rosenberg ha la possibilità di migliorare la conoscenza della lingua, della cultura e della mentalità russe, e segue da vicino gl’inizi della Rivoluzione bolscevica del 1917. Egli è preoccupato per gli sviluppi della situazione politica in Russia e decide, dopo aver terminato gli studi, di lasciare il paese e, nel dicembre del 1918, si trasferisce in Germania.

A Monaco di Baviera trova una situazione rivoluzionaria simile a quella che aveva vissuto a Mosca e decide d’impegnarsi contro la Rivoluzione bolscevica; allaccia in breve tempo contatti con ambienti nazionalisti e fa conoscenza anche di Adolf Hitler (1889-1945). Nel 1919 Rosenberg è iscritto al Deutsche Arbeiter Partei, il Partito dei Lavoratori Tedeschi, da cui nascerà lo NSDAP, il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi.

Grazie alla sua personalità e alla sua cultura, molto superiore a quella degli altri collaboratori di Hitler, Rosenberg ottiene incarichi molto importanti e riveste posizioni dirigenziali in tutta la storia del partito, dalle difficoltà iniziali alla presa del potere e al crollo finale.

Nel 1921 è redattore capo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands, «L’osservatore nazionale. Foglio di battaglia del movimento nazionalsocialista della Grande Germania», talora, nella propaganda dell’epoca, indicato come «Il giornale del Führer».

Nel 1922, pubblica Wesen, Grundsätze und Ziele der Nationalsozialistischen Deutschen Arbeiterpartei, «Natura, princìpi e obiettivi del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi», cioè edita e commenta ufficialmente il programma del partito, il che costituisce anche il primo scritto ideologico ufficiale del movimento (6).

Dal 1923 al 1924, mentre sconta la pena per il fallito putsch di Monaco di Baviera, Hitler affida a Rosenberg l’incarico di dirigere il partito.

Nel 1930, Rosenberg è rappresentante dello NSDAP all’Ufficio Affari Esteri del Reichstag, il parlamento del Reich; nel 1933, è capo dell’Ufficio Affari Esteri dello NSDAP; nel 1934, è «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la formazione ed educazione spirituale e ideologica del NSDAP», e in questa veste organizza un ufficio indicato spesso per semplicità come Amt Rosenberg, «Servizio Rosenberg»; nel 1940, è «Incaricato del Führer per la sicurezza dell’ideologia nazionalsocialista»; e nel 1941, è ministro del Reich per i territori orientali occupati.

Rosenberg viene processato a Norimberga e giustiziato il 16 ottobre 1946.

Durante la prigionia Rosenberg ha scritto delle memorie, Letzte Aufzeichnungen. Nürnberg 1945/46, «Ultimi appunti. Norimberga 1945-1946» (7). In questi appunti autobiografici egli cerca di sminuire il proprio ruolo all’interno del partito, dichiara di aver rivestito importanti funzioni, ma di esser stato impegnato soprattutto nell’ambito della cultura, di aver passato ogni giorno molte ore in biblioteche, preso dalle sue ricerche, mentre altri gerarchi tessevano reti di rapporti, formavano cordate e cercavano di estendere la propria influenza. Fino all’ultimo rimane fedele all’ideologia nazionalsocialista e a Hitler, ma prende le distanze dalle «deviazioni» del regime, la cui responsabilità attribuisce soprattutto a Joseph Göbbels (1897-1945), a Heinrich Himmler (1900-1945) e a Martin Bormann (1900-1945).

3. La svolta nella teoria della razza

Gli specialisti non sono unanimi circa il ruolo svolto da Rosenberg all’interno dell’ideologia e della politica nazionalsocialiste, e le differenti posizioni dipendono in parte anche dal modo con cui viene recepita la teoria delle «religioni politiche».

Il politologo tedesco Eric Voegelin (1901-1985) si è servito del concetto di «religioni politiche» per contraddistinguere la particolarità di certi moderni movimenti politici di massa. Voegelin si mostra critico nei confronti della pretesa di sistemi politici moderni di costruire forme di Stato sulla base di concezioni astratte dell’uomo. Egli è convinto, infatti, che «[…] le radici dello Stato devono essere cercate nella natura dell’uomo» (8); deve però ammettere che «non è stato ancora risolto il problema di sviluppare la dottrina dello Stato a partire da una teoria della natura dell’uomo» (9).

Per Rosenberg il Terzo Reich costituisce una rivoluzione radicale nei confronti di forme precedenti non solo dello Stato confessionale, ma anche di quello secolarizzato: «Questo Reich non è il fondamento per questo o per quel potere confessionale, ma è il primo Stato nazionale tedesco, al quale non possono essere applicate le formule del secolo XIX, come “Stato laico”, “Stato secolarizzato” e così via, perché esso porta in sé e comprende la vita spirituale, psichica e politica. I valori di questo mondo non sono più idee con un’aura religiosa, ma i valori dell’uomo tedesco sono un tutt’uno, come costituiscono un’unità anche l’uomo tedesco e l’anima nazionale nel loro fondamento più profondo» (10).

Voegelin riconosce nel movimento nazionalsocialista il tentativo di costruire l’ordinamento dello Stato sulla natura profonda dell’uomo, che è strettamente legata alla sua origine e alla sua vocazione, che a loro volta rimandano a problemi di ordine religioso e alla posizione dell’uomo all’interno dell’universo: «La comunità politica è sempre incorporata nel contesto dell’esperienza del mondo e di Dio da parte degli uomini: sia che l’ambito politico occupi, nella gerarchia dell’essere, un grado più basso dell’ordinamento divino, sia che esso venga a sua volta divinizzato. Anche il linguaggio della politica è sempre permeato dalle emozioni della religiosità e diventa così simbolismo, nel senso pregnante della compenetrazione dell’esperienza mondana con quella trascendente e divina» (11).

In Rasse und Staat, «Razza e Stato», Voegelin sottolinea la fondamentale differenza «[…] fra le forme precedenti dell’idea della razza, che è rappresentata da persone come Günther [Hans Ferdinand Karl (1891-1968)], Lenz [Fritz (1887-1976)] e Eugen Fischer [1874-1967] e quella che è rappresentata da Rosenberg e dalla giovane generazione del movimento nazionale […]. Mentre la forma più vecchia di idea della razza si fonda in modo caratteristico su un’antropologia intesa come scienza naturale, la nuova si presenta esplicitamente come “mito” o, come noi nella sfera scientifica preferiremmo, come idea del corpo, cioè come un’idea della natura generale dell’uomo nordico, che ha come modello un tipo spirituale dell’uomo nordico. Qui, corpo e anima non sono più due ambiti separati, che vengono uniti da una metafisica insostenibile, ma un’unità; qui lo spirito non dipende dal corpo, ma sangue e anima sono solamente differenti espressioni di un’immagine unitaria dell’uomo nordico» (12).

Voegelin vede nette analogie fra queste teorie del movimento politico e quelle del filosofo tedesco Ludwig Ferdinand Clauss (1892-1974), che per anni fu assistente del filosofo tedesco Edmund Husserl (1859-1938) e che si è poi dedicato completamente alla ricerca sulla razza.

Per Clauss la teoria della razza non deve limitarsi alle caratteristiche somatiche e, tutt’al più, al temperamento e al carattere, ma deve comprendere anche la visione del mondo, la religiosità e la dimensione spirituale. Sempre per Clauss rivelazione e redenzione presuppongono sistemi religiosi precisi: la trascendenza di Dio, le particolari modalità con cui Dio o il divino si rivela all’uomo, o in cui l’uomo si apre al divino, la questione dell’origine del male nella storia tanto dell’individuo quanto di tutta l’umanità e la questione, poi, se l’uomo necessiti di una redenzione o meno.

Per Clauss rivelazione e redenzione non possono aver valore per tutta l’umanità, e non possono fondare una religione universale, in quanto sarebbero tipiche di talune razze, ma non di quella nordica. Clauss distingue per questo differenti tipi razziali che presenterebbero anche forme particolari di religiosità: l’uomo nordico sarebbe un tipo attivo, con un rapporto immediato con il divino, e che non conosce divisione fra corpo e spirito, mentre l’uomo tipico dell’Asia Minore tenderebbe a una scissione interiore, a sensi di colpa e necessiterebbe di una redenzione, mentre l’uomo tipico del deserto vive il divino come qualcosa di esterno e che gli si manifesta attraverso una rivelazione (13).

Contemporanei hanno criticato, nella misura in cui era possibile, queste tesi. Ildefons Herwegen O. S.B. (1876-1946), abate dell’abbazia benedettina di Maria Laach, in Germania, riconosceva, per esempio, le peculiarità della spiritualità dell’uomo germanico ma sottolineava l’unicità del messaggio cristiano: «Il cristianesimo è unico e indiviso nella sua dottrina, nel suo culto e nella sua morale, e immutabile nel suo contenuto essenziale. Il modo di accostarsi a questo mondo cristiano e gli echi che evoca con i suoi stimoli sono differenti da popolo a popolo» (14).

Molte teorie sulla religione germanica precristiana, correnti in ambienti nazionalistici, sono state contraddette in punti importanti da Walter Baetke (1884-1978), professore di Filologia Nordica e di Storia della Religione all’università di Lipsia, in Germania (15).

Con Clauss e Rosenberg avviene un cambiamento epocale nella teoria della razza. Anche in Der Mythus si trovano alcuni riferimenti ai caratteri esteriori, come occhi azzurri e capelli biondi, così come prese di posizione contro ogni confusione delle razze e dichiarazioni a favore dell’eugenetica, ma l’interesse principale è rivolto alla cultura umana in tutte le sue manifestazioni: arte, politica, filosofia, religione e morale, che dovrebbero essere in sintonia con quanto Rosenberg definisce la «verità organica», cioè con la forma interna, con la funzionalità e con la volontà di ogni organismo di raggiungere la propria meta. Forme religiose e morale «[…] sono — se sono autentiche — al servizio della verità organica, cioè al servizio del carattere nazionale legato alla razza» (16).

Secondo questa teoria l’uomo dovrebbe poter sentire, pensare e agire in un modo corrispondente alla propria razza, in modo funzionale. Funzionalità nella formazione della vita «[…] significa la costruzione di un essere vivente, mancanza di funzionalità il suo declino; allo stesso tempo si trova a questo proposito lo strumento che consente di migliorare la forma, o di provocare una deformazione. Da un punto di vista ancora più profondo, impedire lo sviluppo della forma significa un duplice peccato: un peccato contro la natura e un peccato contro forze e valori interiori che cercano di affermarsi» (17).

Questa nuova scienza della razza non s’interessa tanto di questioni di tipo biologico, ma piuttosto delle scienze umane. Storia, etnologia, archeologia, scienza della religione, storia dell’arte, filologia antica, linguistica e così via devono aiutare a comprendere tanto le forze e i valori di un popolo, quanto le influenze straniere che ne deformano e ne impediscono lo sviluppo: «Il sapere ultimo di una razza si trova già incluso nel suo primo mito religioso» (18).

Questa nuova politica razziale non può quindi esaurirsi in leggi eugenetiche o che limitano i diritti dei cittadini non ariani, ma si deve occupare della storia almeno degli ultimi duemila anni e deve purificare e proteggere il popolo germanico da influenze esterne religiose, politiche, filosofiche e artistiche. Questo principio viene espresso chiaramente già nel programma dello NSDAP: il partito «[…]combatte lo spirito ebraico-marxista dentro e fuori di noi» (19).

Il compito che sta particolarmente a cuore a Rosenberg è proprio quello di riconoscere, di smascherare e, quindi, di combattere lo «spirito ebraico», che attraverso il cristianesimo era penetrato anche nei tedeschi razzialmente puri: «La nostra anima è stata contaminata dall’ebraismo; i mezzi per fare questo sono stati la Bibbia e la Chiesa di Roma. Con il loro aiuto il demone del deserto è diventato il “dio” dell’Europa» (20).

4. Le «religioni politiche»

Rosenberg vede la soluzione della profonda crisi che ha colpito la nazione tedesca dopo la prima guerra mondiale e con la fine dell’ordinamento monarchico non in un programma di partito convenzionale, ma nella costruzione di un Reich, supportato da un nuovo mito fondato sui valori eterni dell’anima tedesca: «Il problema del futuro Reich della nostalgia tedesca consiste quindi nel predicare una nuova visione del mondo a questi milioni di tormentati e d’ingannati, di procurare loro, a partire da un nuovo mito, un valore assoluto che tutto forma o, più precisamente, di purificare il valore della nazione e dell’onore nazionale sopito in tutti dai detriti secolari, di porre sotto il suo segno tutta la vita» (21).

Questo mito è «il mito del sangue», che scaturisce dalla natura più profonda dell’uomo e che, in opposizione alle altre ideologie della razza, non è di natura biologica ma divina.

«Oggi si ridesta però una nuova fede: il mito del sangue, la credenza di difendere soprattutto col sangue l’essenza divina dell’uomo. La fede incarnata colla più chiara consapevolezza che il sangue nordico rappresenta quel mistero che ha sostituito e superato i vecchi sacramenti» (22).

Se si tiene conto di simili tesi non ci si può meravigliare se Voegelin, che nel 1933 riferendosi a Rosenberg parla ancora di movimento «nazionale» e «politico» , nel 1939 utilizza invece il concetto di «religione politica». Der Mythus, l’opera più importante del custode della purezza della visione del mondo nazionalsocialista, non è, in senso stretto, un manifesto politico, ma un libro di fede, che annuncia un mistero, «[…] che ha — come abbiamo appena letto — sostituito e superato i vecchi sacramenti».

Nella discussione a proposito delle «religioni politiche» vi sono specialisti come Hans Mommsen, professore emerito dell’università di Bochum, in Germania, che rifiutano l’applicazione di questo concetto al nazionalsocialismo, che non avrebbe avuto una dottrina unitaria, in quanto i maggiori esponenti del regime avrebbero avuto opinioni diverse su punti importanti e sarebbero stati in conflitto fra loro, Hitler avrebbe frenato le critiche contro la Chiesa cattolica e le comunità protestanti e non avrebbe auspicato la creazione di una Chiesa nazionale.

Mommsen è anche del parere che la «sacralizzazione» del Führer e della vita del partito «[…] non aveva lo scopo di creare una religione alternativa» (23). Quest’ultima affermazione appare alquanto problematica, dal momento che lo stesso Mommsen cita una lettera del vice del Führer, Rudolf Hess (1894-1987), dell’aprile 1940, nella quale si legge: «Il Führer non ha solo abbandonato il piano di creare una Chiesa nazionale. Oggi rifiuta totalmente questo piano» (24): a quanto pare il piano di una Chiesa del Reich venne perseguito, almeno per un certo periodo, dallo stesso Hitler, che lo abbandona solo negli anni della guerra per motivi facilmente comprensibili.

Mommsen non sembra neppure tenere in debito conto i diversi livelli della Rivoluzione nazionalsocialista, cioè il fatto che alla presa del potere non segue automaticamente l’affermazione e la diffusione dell’ideologia del partito, cosa di cui uomini come Rosenberg sono pienamente consapevoli. Il 22 febbraio 1934 egli tiene il suo primo discorso ufficiale come «Incaricato del Führer per il controllo di tutta la formazione ed educazione spirituale e ideologica del NSDAP». In tale discorso, intitolato La lotta per la Weltanschauung, Rosenberg sottolinea che «la Rivoluzione nazionalsocialista, portata a termine dal punto di vista del potere politico, dal punto di vista della storia dello spirito — è necessario ripeterlo ancora una volta — è ancora agli inizî» (25).

Rosenberg distingue nettamente la rivoluzione politica da quella culturale e spirituale, così come le loro differenti velocità e strategie. In un articolo del Völkischer Beobachter. Kampfblatt der nationalsozialistischen Bewegung Grossdeutschlands del 1° gennaio 1935 ribadisce che non vi è stata ancora la svolta nell’ambito della scienza, della cultura e dell’arte; Rosenberg è però convinto che il confronto imminente presenta anche aspetti positivi: «Gli avversari della nostra ideologia dovranno prendere posizione» (26).

E dà per scontato che la rivoluzione ideologica durerà a lungo: infatti, si deve essere consapevoli del fatto che «[…] noi nell’ultimo anno — e probabilmente anche nell’anno 1935 e dopo — abbiamo vissuto e vivremo in una condizione di transizione. Un’altra situazione non sarebbe naturale; in quanto la Rivoluzione nazionalsocialista ha sollevato talmente tanti problemi fondamentali sulla natura tedesca e sul pensiero europeo, che questi possono essere impostati veramente soltanto attraverso un lento processo di elaborazione interiore» (27).

Karl-Josef Schipperges, docente emerito dell’Istituto Storico del Politecnico di Aquisgrana, in Germania, sottolinea a ragione che il nazionalsocialismo ha sviluppato rituali, una liturgia e concezioni che danno l’impressione di un sostituto della religione tradizionale (28). Quindi, l’essenza delle «religioni politiche» non consiste solamente nelle forme esteriori di tipo religioso assunte da movimenti politici che, a parte la struttura autoritario-totalitaria, non si distinguono da altri movimenti pure politici, ma soprattutto nella pretesa di dare risposte definitive ed esclusive a tutte le domande dell’uomo, politiche e non politiche, quindi anche specificamente religiose.

Il fatto che la rivoluzione politica sia molto più avanzata di quella spirituale, e che questa si sia manifestata in forme che spesso possono apparire poco autentiche, affettate, kitsch e pseudoreligiose non può impedire di considerare il nazionalsocialismo come una «religione politica» almeno nelle intenzioni e in fieri.

Anche se non è stato realizzato nella vita di tutti i giorni il programma del NSDAP presenta una connotazione religiosa, come mostra l’introduzione di Rosenberg al programma del partito del 1922: «Il risveglio più profondo del nostro presente è l’autocoscienza della razza europea così come si è incarnata nell’uomo tedesco, la forza dell’anima che non vuole solo mostrare sé stessa, convinta fermamente che in questo modo viene creato il massimo di cui è capace. Dopo secoli di negazione della natura eterna il movimento völkisch e nazionalsocialista s’inserisce nuovamente nella regolarità del processo vitale eterno. Questa coscienza gli dà la forza e la fede» (29).

È senz’altro possibile che altre personalità influenti del regime, che dal punto di vista del potere politico hanno avuto maggior peso di Rosenberg, abbiano sostenuto altre teorie della razza. Gli obiettivi di Rosenberg erano chiari, soprattutto nelle sue polemiche con Goebbels, che accusa di fare della propaganda superficiale invece di occuparsi di una formazione dottrinale coerente e approfondita. Rosenberg esercita la sua influenza in vari modi.

Anzitutto influisce sulla formazione della Hitlerjugend, la Gioventù Hitleriana, e quindi sulla nuova generazione del partito, il cui capo, il Reichsjugendführer Baldur von Schirach (1907-1974), era convinto che «la via della Hitlerjugend è la via di Alfred Rosenberg» (30).

Spesso viene sostenuta la tesi secondo cui Der Mythus, tanto per la sua mole quanto per il contenuto complesso, ha avuto uno scarso numero di lettori e, quindi, una scarsa influenza. Per esempio, Bernd Kleinhans, alla voce Alfred Rosenberg nel sito < www.shoa.de> scrive: «Comunque il “Mito” venne letto poco a causa della sua scarsa comprensibilità» (31).

È possibile che non tutti gli esemplari stampati di Der Mythus siano stati letti e la lettura sia risultata troppo difficile per il lettore medio, ma si deve tener conto che l’opera ha un ruolo importante nel lavoro di formazione all’interno di varie organizzazioni nazionalsocialiste: dalle SS, le Schutzstaffel, le «Squadre di protezione», al Nationalsozialisticher Lehrerbund, la «Lega nazionalsocialista degl’insegnanti», e al Nationalsozialisticher Dozentenbund, la «Lega nazionalsocialista dei professori», e influenza soprattutto gli ambienti più ideologizzati.

Inoltre, si deve ricordare che le tesi in essa contenute vengono esposte in forma più accessibile in innumerevoli pubblicazioni e riviste ufficiali del partito dirette da Rosenberg, come i Nazionalsozialistische Monatshefte, i «Quaderni mensili nazionalsocialisti», o la rivista mensile Schulungsbrief, «Lettera di formazione», che raggiunse una tiratura di ben sette milioni di esemplari (32).

Nei pochi anni di attività l’Amt Rosenberg raccoglie una quantità enorme d’informazioni: scheda tutti gl’iscritti al partito, costituisce un archivio con dossier ben documentati su sessantamila personalità della vita culturale (33), che vengono discriminate in base a questa documentazione.

Per esempio, nei concorsi per cattedre universitarie l’Amt Rosenberg doveva fornire una valutazione dei candidati: «Criteri di giudizio erano, oltre alla razza, soprattutto l’atteggiamento nei confronti della religione e i rapporti con le Chiese. Precedenti contatti con ambienti del Zentrum o con un’organizzazione cattolica erano un motivo privilegiato per l’esclusione» (34).

Ma, dal momento che le leggi ancora vigenti e l’autonomia della ricerca e dell’insegnamento ponevano limiti all’ideologizzazione dell’università, Rosenberg progetta la costituzione di una serie d’istituti di ricerca e d’insegnamento di orientamento esplicitamente nazionalsocialista, la Hohe Schule, una «Scuola superiore» per il partito.

Gli obiettivi della Hohe Schule sono stati definiti da Hitler stesso nell’Ordinanza del Führer del 29 gennaio 1940: «La Hohe Schule deve diventare un giorno il luogo della ricerca, dell’insegnamento e dell’educazione nazionalsocialiste. La sua istituzione avverrà dopo la guerra. Per sostenere i preparativi già in atto ordino che il ministro Alfred Rosenberg prosegua questi lavori preparatori, soprattutto nel campo della ricerca e nella costituzione della biblioteca» (35).

Per la sede principale della Hohe Schule Hitler stesso aveva scelto una località su un lago della Baviera, il Chiemsee, ma erano previste diverse sedi staccate, che in parte erano nella fase di costituzione, come la sede di Scienza della Religione a Halle, quella per la Ricerca Biologica e della Razza a Stoccarda e un Istituto per lo Studio della Questione della Razza a Francoforte sul Meno (36).

Se fra i gerarchi del partito non vi fu unanimità in campo ideologico, è indubbio che per Hitler l’ideologo del partito era Rosenberg, al quale ha affidato gl’incarichi più importanti in campo dottrinale e al quale ha ripetutamente confermato la fiducia, come in occasione del conferimento del Premio Nazionale Tedesco, che il Führer istituisce nel 1937 dopo aver proibito ai cittadini tedeschi di accettare il premio Nobel.

Goebbels, incaricato della laudatio, dichiara: «Con le sue opere Alfred Rosenberg ha contribuito in modo assolutamente eminente a fondare e a rafforzare scientificamente e intuitivamente l’ideologia nazionalsocialista. In una lotta indefessa per mantenere pura la visione del mondo nazionalsocialista ha acquisito meriti molto particolari. Solo in un’epoca futura sarà possibile valutare quanto profonda è stata l’influenza di quest’uomo sulla formazione spirituale e ideologica del Reich nazionalsocialista. Non solo il movimento nazionalsocialista ma anche tutto il popolo tedesco saluterà con profonda soddisfazione il fatto che il Führer, con l’assegnazione del Premio Nazionale Tedesco, ha voluto onorare uno dei suoi più vecchi e più fidati collaboratori» (37).

A Rosenberg vengono spesso affidati incarichi non facili, in quanto si trattava in molti casi di dar vita a istituzioni nuove, cominciando dalla scelta dei collaboratori più stretti. Il fine era chiaro e l’ideologia avrebbe incorporato sempre più anche le tematiche religiose.

Anche altri intellettuali nazionalsocialisti erano consapevoli del fatto che la rivoluzione politica doveva essere seguita e completata da una rivoluzione religiosa, ma che questo passaggio, a causa delle forti reazioni che si sarebbero per certo manifestate, non poteva essere realizzato con precipitazione, come mostrano due citazioni di Ernst Bergmann (1881-1945): «[…] io credo che la rivoluzione resti incompiuta se non si trasforma in una riforma» (38); e «Ci avviamo verso uno scontro di dimensioni tremende. Di proporzioni talmente immani da dover chiudere gli occhi davanti a esso. Per dimensione non è assolutamente paragonabile a quella luterana. Per questo abbiamo la massima comprensione se il Führer vuole ancora rimandare questa lotta, e per il momento la vuole risparmiare alla nostra povera, amata patria, fino a quando sarà guarita e rafforzata» (39).

5. «Der Mythus»

La lettura di Der Mythus può riservare talune sorprese al lettore impreparato. Nelle 700 pagine del testo si trovano alcuni riferimenti alla politica, con critiche dell’attività del partito del Zentrum — che era stato fondato nel 1870 per rappresentare la minoranza cattolica contro la politica ispirata al Kulturkampf (1871-1879) del cancelliere Otto von Bismark (1815-1898), ma dal 1919 partito di governo — e della Rivoluzione bolscevica.

Ma tali riferimenti rappresentano, nell’economia generale dell’opera, una quantità trascurabile. Rosenberg supera l’ambito dell’attualità politica, e la situazione del popolo tedesco viene inserita in una visione unitaria della storia dell’Occidente e di tutta l’umanità. Il problema politico viene interpretato alla luce della storia della cultura e in chiave religiosa, per cui non ci si deve stupire se Der Mythus considera la Chiesa cattolica come il nemico più importante del rinnovamento del popolo tedesco.

Per comprendere meglio la concezione che sta alla base di Der Mythus dev’essere ricordata una tesi particolare dell’autore: «Il concetto di Bene non è assolutamente comprensibile senza quello di Male, e solo attraverso di esso ottiene una limitazione, cioè una forma. […] Dalla contrapposizione del SI e del NO sempre sussistente, peraltro ha origine ogni vita, tutto ciò che è creativo, ed anche il monista dogmatico — sia materialista che spiritualista — vive solo tramite l’esistenza dell’eterno contrasto» (40); «[…] noi proclamiamo l’antica formula, secondo cui il conflitto è il padre di tutte le cose» (41).

La tesi, secondo cui il bene non è assolutamente comprensibile senza il male e per cui la vita è un processo dinamico, originato dalla tensione fra opposti, può spiegare perché Rosenberg descriva «l’anima nordica» in modo, in definitiva, piuttosto vago, per esempio con i valori di onore e di libertà o come dinamica, combattiva, in ricerca e così via.

Nella nuova teoria della razza il mito prende forma solo vagamente in riferimento a valori positivi e, soprattutto, in contrapposizione a un principio opposto di pari dignità. In Der Mythus è principalmente la Chiesa cattolica a rappresentare la negatività, come può mostrare un passo in cui il domenicano tedesco Johannes Eckhart, noto come Meister Eckhart (1260 ca.-1327), viene contrapposto alla Chiesa come esempio dell’anima nordica: «Con la sua religione, la sua etica e la sua critica della conoscenza antiromane, Eckhart si separa coscientemente, anzi bruscamente, da tutti i basilari comandamenti sia della Chiesa romana che della successiva Chiesa luterana. In luogo della statica anima giudaico-romana, egli pone la dinamica dell’anima nordico-occidentale; in luogo di un violentamento monistico esige il riconoscimento della duplicità di ogni vita; al posto della dottrina della sottomissione e di una felicità da servi egli predica il riconoscimento della libertà dell’anima e del volere; al posto della presunzione ecclesiastica della rappresentanza di Dio mise l’onore e la nobiltà della personalità spirituale; al posto dell’amore estatico, devoto e sottomesso, subentra l’idea aristocratica della segregazione personale e della solitudine spirituale; al posto della violenza della natura subentra la sua realizzazione. E tutto ciò significa: al posto della concezione del mondo giudaico-romano subentra la confessione spirituale nordico-occidentale come il lato interiore dell’uomo tedesco-germanico, della razza nordica» (42).

Nella prima parte di Der Mythus Rosenberg interpreta la storia del mondo antico alla luce della sua teoria della razza. Egli è convinto che «[…] il “senso della storia del mondo” è andato irraggiandosi dal Nord su tutta la Terra, portato da una razza bionda e dagli occhi azzurri, che in varie grandi ondate stabilì il volto spirituale del mondo, e ciò fece anche laddove dovette tramontare. Noi chiamiamo questi periodi di migrazioni nel modo seguente: la migrazione ravvolta nella leggenda degli Atlantidi nell’Africa del Nord; la migrazione degli Arii verso la Persia-India, seguita da Dorii, Macedoni, Latini, il passaggio della migrazione dei popoli germanici; la colonizzazione del mondo tramite l’Occidente germanicamente determinato» (43).

Nel suo cammino la razza nordica affronta molte sfide, descritte da Rosenberg come una lotta fra due princìpi assoluti: «Sulla terra di Grecia si disputò, in modo decisivo dal punto di vista della storia universale, il primo grande conflitto risolutivo fra i valori razziali, a favore della natura nordica» (44).

Secondo queste tesi, la lotta non si sarebbe limitata a una sola battaglia, ma si sarebbe prolungata per secoli, in diverse fasi. Le migrazioni nordiche di achei, dori e macedoni incontrano la resistenza delle popolazioni originarie, che ricevono rinforzi dall’Asia Minore. La lotta si svolge su diversi piani: il principio paterno nordico contro l’ordine matriarcale asiatico, la religiosità pura nordica contro la magia sacrificale, divinità «solari» come Apollo e Atena contro culti estatico-tellurici di Dioniso e di Demetra.

Una lotta analoga avrebbe caratterizzato anche gl’inizi del cristianesimo e lo sviluppo della Chiesa cattolica.

«La lotta dei primi secoli postcristiani si può comprendere soltanto come una lotta fra diverse anime razziali contro il policefalo caos razziale, in cui la mentalità siriaco-mediorientale con la sua superstizione, la sua stregoneria e i suoi “misteri” sensuali, aveva riunito dietro di sé tutto ciò che era caotico, spezzato, disgregato, imprimendo al cristianesimo il carattere discordante, di cui ancora oggi soffre» (45).

Elementi asiatici vengono attribuiti per esempio all’evangelista san Matteo e a san Paolo: «Le nostre Chiese paoline, in sostanza, non sono cristiane, ma il prodotto delle aspirazioni apostoliche ebraico-siriache, come iniziate dal gerosolimitano autore del Vangelo di Matteo e completate, indipendentemente da lui, da Paolo» (46).

Rosenberg parla addirittura di «imbastardimento, orientalizzazione e giudaizzazione del Cristianesimo» (47), ai quali si era opposto «[…] il Vangelo di Giovanni, che ancora respirava aria aristocratica» (48). «Paolo ha raccolto in modo completamente consapevole tutta la feccia dello Stato e dello spirito nei paesi del suo mondo, per scatenare una rivolta degli esseri inferiori» (49).

A Roma il conflitto all’interno del cristianesimo è stato ampliato da nuovi elementi; i latini hanno dato alla Chiesa un carattere nordico, mentre influssi etruschi hanno rafforzato la componente orientale.

«L’“haruspex” vinse, il Pontefice romano si erse suo immediato successore, mentre la signoria del tempio, il collegio dei cardinali, rappresenta una mescolanza del sacerdozio degli etrusco-siro-mediorientali e dei Giudei col nordico Senato di Roma. A questo “haruspex” etrusco risale anche allora la “nostra” concezione di vita medievale, quella tremenda credenza magica, quella “follia stregonesca” , di cui sono caduti vittime milioni di occidentali» (50).

La diffusione del cristianesimo in Europa non avrebbe solo alienato per secoli la religiosità degli europei, ma anche tutta la loro natura. «La ricerca religiosa dell’Europa è stata avvelenata alla fonte da una forma a essa estranea, quando la sua prima epoca mitologica stava per finire. L’uomo occidentale non poteva più pensare, sentire e pregare in una forma a lui connaturale» (51).

Non viene risparmiato neanche il diritto romano: «Dalla falsificazione da parte delle influenze siriaco-romane dell’idea del diritto, nordica e consapevole dell’onore, dipende una delle cause più profonde anche della nostra lacerazione sociale» (52).

6. La reazione alla cristianizzazione delle popolazioni germaniche e Meister Eckhart

La storia dell’Europa viene interpretata da Rosenberg come la lotta fra i discendenti dei germani e il «caos di popoli romano» (53). La storia di «Albigesi, Valdesi, Catari, Arnoldisti, Stendighesi, Ugonotti, Riformati, Luterani» (54) viene interpretata come la reazione nordico-germanica contro «l’ipnosi romano-mediorientale» (55), una reazione che con Meister Eckhart raggiunge la sua forma più completa e più alta.

Se non siamo ancora morti, ciò è merito della potenza dell’anima germanica, che ha finora impedito la definitiva vittoria di Roma (e di Gerusalemme). In Meister Eckhart l’anima nordica pervenne per la prima volta alla totale consapevolezza di sé stessa. Nella sua personalità sono già contenuti tutti i nostri successivi grandi uomini. Dalla sua grande anima può — e potrà —, un giorno, nascere la fede tedesca» (56).

Meister Eckhart viene considerato come colui che sarebbe stato in grado di fondare un cristianesimo nordico, se una morte prematura non avesse posto fine alla sua attività. «In tal modo Meister Eckhart non si mostra come un estatico sognatore, ma come il fondatore di una nuova religione, della nostra religione, liberata dall’essenza straniera, come ci era stata infusa attraverso la Siria, l’Egitto e Roma» (57).

La religione di Meister Eckhart non consiste, secondo Rosenberg, in una concezione trascendente di Dio, ma, per esempio, nel riconoscere e nell’«[…] annunciare l’eguaglianza dell’anima e di Dio» (58). Dio non è un essere superiore, al di sopra dell’uomo, ma l’esistenza di Dio dipende da quella dell’uomo: «Se però io non fossi, non sarebbe neanche Dio» (58). L’anima umana deve superare ogni divisione e conflitto interiori e vuole soltanto «[…] essere una cosa sola con se stessa» (60).

Dopo Meister Eckhart e la Riforma, iniziata nel 1517, un’importante tappa per la coscienza tedesca è rappresentata dalla Bauernkrieg, la Guerra dei Contadini (1523-1525), la «[…] prima e finora l’unica rivoluzione sociale tedesca […]; la sollevazione dei contadini all’inizio del secolo XVI: contro la servitù romana nella sua triplice forma come Chiesa, Stato e Giurisprudenza» (61).

Nei secoli seguenti l’anima tedesca non si esprime più nella religione, ma in politica, nella letteratura, nell’arte, nella filosofia e così via: Bismarck, Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), Johann Sebastian Bach (1685-1750), Ludwig van Beethoven (1770-1827), Richard Wagner (1813-1883), Arthur Schopenhauer (1788-1860), Immanuel Kant (1724-1804) e così via, ciascuno a suo modo, avrebbero espresso i valori eterni dell’anima tedesca.

7. «Cristianesimo positivo» e «cristianesimo negativo»

Rosenberg riprende la tesi del 24° punto del programma dello NSDAP, secondo cui «il partito come tale sostiene il punto di vista di un cristianesimo positivo, senza legarsi a una particolare confessione religiosa» (62). Il concetto di «cristianesimo positivo» viene integrato con quello di «cristianesimo negativo» e Rosenberg ritiene di riconoscere all’interno del cristianesimo l’esistenza di un conflitto secolare, riconducibile proprio a quello fra cristianesimo positivo e negativo.

«Il Cristianesimo negativo e quello positivo furono da sempre in conflitto, e anche oggi si combattono accanitamente proprio ai nostri giorni. Quello negativo si vanta della propria tradizione siriaco-etrusca, dei suoi dogmi astratti e dei suoi usi consacrati ab antico, quello positivo desta di nuovo consapevolmente le forze del sangue nordico» (63).

Non è possibile a questo punto ricordare tutti gli aspetti della dottrina cattolica definiti come «estranei alla razza» e quindi caratteristici di un cristianesimo negativo; basti dare qualche esempio, come la tradizione biblica della creazione: «La dottrina giudaico-romana annuncia con la sua affermazione della creazione del mondo dal Nulla un collegamento causale tra “creatore” e “creatura”, essa trasmette quindi una forma di contemplazione valida solo per questo mondo nel campo metafisico e sostiene questa premessa della sua posizione “rappresentativa” del Creatore fino ad oggi con la più ostinata energia, nella consapevolezza di condurre su questa posizione la lotta per la sua esistenza. Contro questo mostruoso principio fondamentale lo spirito germanico è stato da sempre nella più aspra posizione di lotta. […] mai un mondo sorge dal nulla, come insegnarono figli del deserto siro-africani e come Roma assunse con il suo dèmone Jahwe» (64).

Rosenberg definisce «unitarismo» una dottrina religiosa che pretende di essere valida per tutta l’umanità, ritiene inconcepibile che uomini bianchi e di colore possano avere la stessa fede e praticare le stesse forme liturgiche, o addirittura che uomini di colore possano diventare dignitari della Chiesa cattolica e celebrare la Messa con uomini bianchi: «Da “Bonifacio” fino a Ludovico il Pio, che si sforzò di estirpare radicalmente tutto ciò che era germanico, fino ai nove milioni di eretici trucidati, si sviluppa sino al Concilio Vaticano, sino ad oggi, un unico tentativo di affermare una inesorabile fede unitaria, e di diffondere una forma, un articolo di fede coercitivo, una lingua ed un rito per uomini nordici, levantini, negri, cinesi ed esquimesi (si confronti il Congresso Eucaristico di Chicago del 1926, ove vescovi negri celebrarono la Messa). Da due mila anni l’eterno sangue di tutti i popoli e razze si indigna contro di ciò» (65).

Rosenberg critica pure la Chiesa cattolica per aver condannato rigorosamente, fin dall’inizio, le tesi nazionaliste del movimento.

«E così anche i relatori del Katholikentag, la Giornata dei Cattolici Tedeschi, del 1923 a Costanza erano arrivati alla conclusione che la più grande eresia del nostro tempo sarebbe quel “nazionalismo eccessivo”, che avrebbe già provocato i più “terribili disastri e devastazioni” anche nelle teste dei cattolici. Una formula che viene ripetuta ogni mese dai vescovi tedeschi.

«[…] Da questo atteggiamento spirituale procede la valutazione della storia tedesca, il rifiuto del tentativo di creare un Reich veramente tedesco e lo sforzo di non tollerare mai per il futuro un tipo autenticamente tedesco. Il cosiddetto Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, quella costruzione non organica per la quale centinaia di migliaia di tedeschi hanno versato invano il loro sangue, viene circondato oggi di una gloria fantastica e l’epoca medioevale viene presentata come un’epoca della pace, dovuta al fatto che la Chiesa decideva delle sorti del mondo» (66).

Secondo Rosenberg l’amore cristiano per il prossimo sperpera le risorse dello Stato a favore degli svantaggiati e dei deboli, e contemporaneamente si oppone agli sforzi eugenetici: così «[…] la società europea si è senz’altro “sviluppata” come protettrice di ciò che è deteriore, malato, deforme, marcio e criminale. L’“Amore” con l’aggiunta dell’“Umanità” è diventato una dottrina disgregatrice di tutti i comandamenti e di tutte le forme vitali di un popolo e di uno stato, e si è quindi ribellata in tal modo contro la Natura che oggi si vendica. Una Nazione, il cui centro rappresentasse l’onore e il dovere, non manterrebbe delinquenti e fannulloni, ma li eliminerebbe» (67).

Rosenberg prende posizione in particolare contro l’enciclica di Papa Pio XI (1922-1939) Casti connubi sul matrimonio cristiano, del 31 dicembre 1930: «[…] il Vaticano si è mostrato di nuovo come l’avversario più accanito dell’allevamento di quanto è più valido e come protettore del mantenimento e della riproduzione di quanto vale di meno. In opposizione anche a seri eugenisti cattolici Papa Pio XI dichiara agli inizi del 1931 nella sua enciclica “Sul matrimonio cristiano”, che non è legittimo compromettere l’integrità fisica di persone che sono in sé capaci di sposarsi, ma che probabilmente darebbero la vita a una prole minorata. […] Dunque, chi vuole una Germania sana e spiritualmente forte deve respingere energicamente tanto questa enciclica pontificia, che porta all’allevamento di uomini inferiori, quanto il fondamento del pensiero romano in quanto contro natura e ostile alla vita» (68).

In questo stesso passo Rosenberg ricorda che alcuni ambienti cattolici, in Germania, avevano assunto un atteggiamento conciliante verso la politica eugenetica del nazionalsocialismo. Si deve sottolineare che sono teologi modernisti come Fritz Tillman (1874-1953), Karl Adam (1876-1966) e Joseph Mayer (1886-1967) a difendere posizioni eugenetiche: «Proprio perché questi teologi cattolici erano moderni, sono stati travolti dal vortice eugenetico e simboleggiano allo stesso tempo il doppio volto della modernità. […] «Sostenitori principali dell’eugenetica cattolica erano il cattolicesimo sociale, organizzazioni femminili cattoliche e politici “dell’ala sinistra” del partito del Zentrum» (69).

Il teologo cattolico Lucia Scherzberg mostra come Adam abbia sostenuto la compatibilità fra cattolicesimo e nazionalsocialismo, sviluppando una teologia sulla base di concezioni del rapporto fra natura e soprannatura, del peccato originale, della Redenzione non molto differenti da quelle del cristianesimo tedesco auspicato da ambienti nazionalsocialisti, e si sia servito pure della sua collaborazione con il nazionalsocialismo per cercare di attuare i suoi piani di riforma in senso modernista del cattolicesimo tedesco (70).

Pur manifestando comprensione per i progetti di riforma di Adam, Lucia Scherzberg trova del tutto ingiustificabile che il teologo tedesco abbia perseguito tale obiettivo sviluppando «una teologia che disprezza l’uomo» (71).

8. Verso un cristianesimo tedesco

La distinzione fra cristianesimo negativo e positivo non dovrebbe limitarsi al piano teorico ma dovrebbe fornire criteri per purificare il cristianesimo in Germania. «Noi riconosciamo oggi che i valori massimi centrali della Chiesa romana e di quella protestante, quale Cristianesimo negativo, non corrispondono alla nostra anima, che bloccano la strada alle forze organiche dei popoli in senso nordico razzialmente determinati, che devono far loro posto, e che devono accettare di trasformare i propri valori nel senso di un cristianesimo germanico. È questo il senso dell’odierna ricerca religiosa» (72).

Rosenberg fa anche alcune proposte concrete su come germanizzare progressivamente il cristianesimo: «Dev’esser eliminato una volta per tutte il cosiddetto Vecchio Testamento come libro religioso. In tal modo viene a cessare il tentativo fallito dell’ultimo millennio e mezzo di trasformarci spiritualmente in ebrei» (73).

«Da parte di un uomo combattivo (non del politico) dev’essere rafforzato il movimento che si propone l’eliminazione dal Nuovo Testamento dei racconti evidentemente contraffatti e superstiziosi. L’indispensabile Quinto Vangelo non può naturalmente essere deciso da un sinodo. Sarà la creazione di un uomo che sente la nostalgia di una purificazione nella stessa misura in cui ha approfondito la ricerca sul Nuovo Testamento» (74).

«Gesù ci appare oggi come Signore sicuro di sé nel senso migliore e più alto del termine. È la sua vita ad aver senso per gli uomini germanici, non la sua tormentata morte, a cui si deve ascrivere il successo presso le popolazioni alpine e del Mediterraneo» (75).

«Però è fuori discussione che anche oggi migliaia di tedeschi meravigliosi sono attivi come sacerdoti all’interno della Chiesa romana e nel profondo del loro cuore desiderano con ardore soltanto la purificazione del cristianesimo dalla superstizione siriaca e l’approfondimento della vita religiosa per mezzo della separazione da finanziamenti dello Stato e dalle seduzioni del potere politico. […] Essi saranno felici, un giorno, di poter celebrare il servizio divino purificato unicamente nella santa lingua materna e al servizio di valori superbi. Non è ancora arrivata l’ora in cui sacerdoti tedeschi potranno avanzare nei confronti della casta superiore legata a Roma la richiesta di una trasformazione dell’anima, del capo e dei membri. Ma arriva. Anche qui vi dovranno essere, come sempre, dei martiri. Ma a uno Stato tedesco spetta poi il dovere di proteggere questi uomini dalla persecuzione e di farli integrare nella Chiesa Nazionale Tedesca» (76).

«Con l’eliminazione delle prediche sul servo e il capro espiatorio come Agnello di Dio, sull’incarico a Pietro di fondare la Chiesa romana, sul “compimento” del Vecchio Testamento, sull’indulgenza, sui mezzi miracolosi magici anche la pratica esterna (rito) dovrà essere modificata di conseguenza. Insieme a una vasta letteratura d’informazione, che dev’essere diffusa dal clero della Chiesa tedesca all’interno di quelle che fino a ora sono le loro comunità. Ma da un nuovo atteggiamento interiore verso l’immagine di Gesù deriva inevitabilmente anche una trasformazione necessaria, apparentemente solo esteriore: la sostituzione nelle chiese e nelle strade di paese delle croci che rappresentano lo strazio della Crocifissione. Il crocifisso è il simbolo della dottrina dell’Agnello sacrificale, un’immagine che c’ispira il crollo di tutte le forze e per mezzo della raccapricciante rappresentazione del dolore ci deprime, ci rende “umili”, come volevano le Chiese con la loro bramosia di potere» (77).

«Le Chiese e le comunità della Chiesa Tedesca devono disporre che nei luoghi di pellegrinaggio le opere d’arte bastarde del barocco di origine gesuitica vengano progressivamente sostituite da quadri e statue del portatore della vita, che appaia di nuovo il Dio con la lancia, e poi da immagini e da detti di Meister Eckhart e di altri predicatori tedeschi» (78).

«[…] contemporaneamente dovranno essere eliminati gl’inni a Jehova dai libri di canti religiosi» (79).

Rosenberg si rende conto della scarsa importanza dei gruppi che vogliono far rivivere la fede degli antichi germani; ma apprezza questo lavoro come contributo che potrebbe essere d’aiuto nell’auspicato processo di germanizzazione delle Chiese cristiane: «Le comunità di fede germanica finora non sono andate oltre ad accenni teorici. I tentativi pratici non sono stati incoraggianti. Ma, indipendentemente dal loro esito, queste ricerche rappresenteranno il lievito nel campo della storia della religione nordica, che stimolerà le componenti della Chiesa Tedesca, tanto quelle provenienti dalla Chiesa cattolica, quanto da quella luterana. Poiché al posto delle storie veterotestamentarie di magnaccia e di commercianti di bestiame verranno messe leggende e favole nordiche, raccontate all’inizio in modo semplice e successivamente comprese come simboli» (80).

9. Le reazioni a «Der Mythus»: prelati e cardinali mobilitano le masse dei fedeli

Nell’introduzione alla terza ristampa del 1931, Rosenberg analizza le reazioni di diversi ambienti alla sua opera. Al primo posto ricorda le reazioni di parte cattolica, alle quali dedica anche lo spazio maggiore. Se ne dichiara in parte meravigliato, ma anche confermato nel suo proposito, poiché «[…] la furiosa, sfrenata polemica soprattutto dei circoli romani mi ha dimostrato quanto fosse profondamente giustificata la valutazione da me data, nella presente opera, del principio romano-siriaco» (81) e denuncia la mobilitazione delle masse da parte di prelati e cardinali (82).

Successivamente Rosenberg ricorda che Der Mythus è stato discusso vivacemente in ambienti protestanti, che teologi condividevano alcune interpretazioni dell’antichità e della Riforma in chiave di psicologia della razza, ma che l’attaccamento al Vecchio Testamento e la «venerazione di Paolo, un peccato originale del Protestantesimo» (83), impedivano un’intesa maggiore.

Al terzo posto vengono ricordate le reazioni in ambienti nazionali: «Da parte nazionale il “Mito”, per paura del Zentrum, è stato passato sotto silenzio, e solo pochi hanno osato impegnarsi a favore dei suoi ragionamenti. Il giudizio di disapprovazione da parte di queste file consisteva però quasi sempre nell’attribuirmi il fatto di aver voluto diventare un “fondatore di una nuova religione”», accusa che Rosenberg respinge categoricamente (84).

Solo al quarto posto vengono ricordate le reazioni democratico-marxiste: «Lo schieramento democratico-marxista aveva dapprima cercato, mettendolo a tacere, d’impedire la diffusione dell’opera. Poi fu però anch’esso costretto ad una presa di posizione. Questa gente ha dunque attaccato il “falso socialismo”, come a lor dire esso veniva insegnato nella presente opera a danno dei lavoratori» (85). Per Rosenberg le reazioni tardive del campo democratico-marxista si sarebbero limitate a smascherare il nazionalsocialismo come «falso socialismo».

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