La vacua sensibilità ecologica dei progressisti

nuova ecologiaAbstract: la vacua sensibilità ecologica dei progressisti le cui  linee “illuminate” e progressiste che indicano una tecnologia “buona” che si sposi ad un modello capitalistico, non si sono mai concretizzate in una radicale e seria azione risolutiva. Certo si rallentano i processi di degrado naturale, si delineano interventi di minor impatto ambientale, ma il sistema di base, inquinante e consumatore, non viene sostanzialmente scalfitto. Essere politicamente corretti senza però soffrire  o soffrire poco o soffrire da ricchi: questo è l’assunto dei progressisti.

Articolo pubblicato da Il Secolo d’Italia del 17 novembre 1995

Nasce vecchia «La Nuova Ecologia»

… Il meccanicismo illuminista proprio dal punto di vista scientifico ha rivelato molti limiti; Bateson, Capra, e, più in generale, gli scienziati di fisica atomica hanno seriamente messo in crisi tale approccio scientifico che, applicato alla realtà, ha comportato disastrosi impatti con l’ambiente e il territorio. Eppure, nonostante tutto,  i progressisti ritengono che la difesa dell’ambiente sia “roba loro”. E’ quanto si evince dal mensile di Lega Ambiente “La Nuova Ecologia”…

di Cesare Patrone

La questione ambientale è un motivo di grande riflessione  che attraversa ormai tutte le correnti di pensiero  e di conseguenza costituisce un punto focale per tutte le concezioni politiche. Si può affermare che per poter ritenere una certa forza politica credibile debba verificarsi una risposta sufficientemente adeguata e concreta, da parte della concezione che sottintende la forza politica, alle esigenze di protezione ambientale.

Detto questo, va chiarito che, da alcuni decenni, è opinione diffusa che la sinistra e il cosiddetto progressismo siano, per loro stessa natura,  dotati di una maggiore sensibilità nei confronti dell’ambiente rispetto alla destra politica, intendendo quest’ultima in senso sociale e nazionale e non evidentemente la destra capitalistica (thatcheriana e reaganiana). La stessa categoria antropologica del progressista sarebbe quella che fa riferimento ad una persona ragionevole, aperta, solidale e naturalmente sensibile ai problemi ambientali.

Eppure, se c’è stata una insensibilità ambientale, questa deriva proprio dalla cultura illuministica-meccanicistica che molto più della cultura teocentrica (cattolico-medievale) o cosmocentrica (pagana) o, in generale, antilluministica – alla quale seppure con molte incertezze fa riferimento la destra sociale e nazionale – ha avuto un impatto assolutamente dure nei confronti dell’ambiente. L’ideologia marxista così come quella liberista si incardinano alla struttura del pensiero illuminista; Marx ha ben ritenuto di combattere la «stupida vita agreste» ed è Lenin che concepisce «il socialismo più elettrificazione».

Il meccanicismo illuminista d’altronde proprio dal punto di vista scientifico ha rivelato molti limiti; Bateson, Capra, e, più in generale, gli scienziati di fisica atomica hanno seriamente messo in crisi tale approccio scientifico che, applicato alla realtà, ha comportato disastrosi impatti con l’ambiente e il territorio. Eppure, nonostante tutto,  i progressisti ritengono che la difesa dell’ambiente sia “roba loro”.

E’ quanto si evince dal mensile di Lega Ambiente “La Nuova Ecologia”, che da questo mese è di nuovo in edicola. La sicumera dei progressisti ambientalisti impregna la rivista. Prodi viene trattato “umanamente” nonostante sia un «nuclearista in attesa che il contributo delle fonti rinnovabili cresca». Tranquillamente si coniuga l’equazione destra americana (i repubblicani) contro l’ambiente, mentre (il veltroniano) Clinton opererebbe per la difesa della legislazione ambientale. “La Nuova Ecologia” continua così a diffondere un pericoloso equivoco.

Si afferma che la risoluzione delle problematiche ambientali, soprattutto al riguardo dell’inquinamento e del degrado del territorio dipenda, in buona parte, dallo sviluppo delle conoscenze scientifiche ecologiche e, di conseguenza, dalla nascita e l’espansione di tecnologie di basso impatto ambientale.

Si procrastina, così come accadde nel secolo XIX, l’atteggiamento di cieca fiducia nella scienza e nella tecnica, considerate, dal punto di vista del progresso dell’umanità, risparmiatrici ed affrancatrici di lavoro. Non è ancora chiaro ce le scelte ambientali non sono di tipo ecologico, ma in primo luogo sono a carattere politico.

L’ecologia è solo la materia che riesce ad avere una visione specificatamente scientifica del problema ambientale e che deve fornire, al superiore livello politico, i supporti e le chiarezze  scientifiche per una più efficace azione di salvaguardia. Il potere politico che delega alle scoperte ecologiche la soluzione dei problemi ambientali sa sicuramente di essere ipocrita, poiché solo il livello politico è in grado di assolvere tale incombenza. Le linee “illuminate” e progressiste che indicano una tecnologia “buona” che si sposi ad un modello capitalistico, non si sono mai concretizzate in una radicale e seria azione risolutiva. Certo si rallentano i processi di degrado naturale, si delineano interventi di minor impatto ambientale, ma il sistema di base, inquinante e consumatore, non viene sostanzialmente scalfitto.

Così pure la sensibilità ecologica dei progressisti è fondamentalmente vacua e non riesce ad immaginare domini ambientali reali: viene più che altro romanticizzato il contesto naturale inteso alla stregua di un idilliaco ambiente dove albergano «uccellini e alberi fronzuti» (l’immagine è di Evola).

Il sistema capitalista/progressista concepisce l’area protetta come appendice della città, come ristoro dei cittadini, come fine settimana per l’inurbato al fine di un ricaricamento fisico e psicologico dell’uomo-cittadino che potrà ritornare così rinfrancato alla “produzione”, al suo lavoro,  in fabbrica o in ufficio.

Si tratta di un uomo che si reca nelle aree protette, ma non potrebbe viverci poiché non è i grado di ritrovarsi in un contesto diverso dalla città. D’altronde il sistema di protezione così come oggi concepito, a prescindere dall’innegabile valore naturalistico di zone che con l’apposizione del vincolo ambientale vengono sottratte alla speculazione, rappresenta un vero fallimento dal punto di vista sociale.

La politica che si è imposta nei confronti della popolazione locale è basata sul duplice sistema assistenza e turismo: in ogni caso viene evidenziata la valenza dell’area protetta concepita come appendice della città, dipendente dalla città anche dal punto di vista economico.

E’ la politica dell’assistenzialismo, più o meno mascherato, sociale-economico, nonché del riconoscimento implicito dell’inferiorità culturale delle comunità rurali. Non viene presa in seria considerazione alcuna possibilità di autosostentamento e di produzione, né alcun tipo di attività “primaria” è concepita. Non si è compreso bene l’effetto devastante sul morale di un popolo, di una comunità locale, di una tale politica centralista, vessatoria, risarcitoria e assistenziale.

Guardando le cose sotto una tale luce può affermarsi che i “verdi cittadini” non sono moralmente legittimati a fare alcuna predica su come si debba vivere nelle zone rurali e nelle campagne; anzi, deve rilevarsi che i suddetti cittadini sono molto meno ecologisti di quanto sembrino, mentre al contrario gli agricoltori sono ben più ecologisti  di quanto non sembrino. Con buona pace degli ambientalisti è indubbio che dal punto di vista antropologico gli agricoltori – che sono strutturalmente stati sempre vicini alla destra sociale e nazionale – sono ben più ecologisti dei cittadini, poiché va ben tenuto presente che anche i più alti contenuti culturali che rimangono nel dominio delle idee non sono che mero intellettualismo .

Senza impantanarsi in richiami a modelli, per quanto utili concettualmente, passatisti e utopistici, preindustriali e tradizionali o addirittura reazionari, si intende allora proporre una organizzazione di protezione del territorio del tutto realistica.

Il sistema organizzativo che concepisce le soluzioni ambientali sotto ogni profilo e pertanto non sottace la dimensione sociale, si incardina alla legge fondamentale dell’urbanistica (legge 17 agosto 1942, n.1150) che con grande oculatezza propone di favorire “il disurbanamento” e “il rispetto dei valori tradizionali”. Ma il disurbanamento, già previsto dalla legge, non può che avvenire attraverso la rivalutazione politica e morale delle comunità del piccolo centro e con un sistema di aree protette differenziate che non interessino solo l’aspetto naturalistico.

Si tratta di comprensori più piccoli delle provincie ma più grandi della giurisdizione di un Comune, di una certa omogeneità territoriale (ambientale, sociale, culturale) e per i quali debbono essere ammesse necessariamente delle attività produttive anche a carattere industriale e di agricoltura intensiva; in tali comprensori vanno concepiti sistemi di protezione che non siano alternativi alle attività produttive.

Si tratta di un sistema di protezione più blando, ma del tutto diffuso nel territorio nazionale anche laddove il degrado è in stato avanzato. Le risposte concrete ed organicamente orientate non potranno, alla lunga, che imporsi sulle spolverature ecologistiche che i progressisti hanno sempre perorato  per una questione di potere e per avere la coscienza in ordine.

Essere politicamente corretti senza però soffrire (come dice Pirella nella stessa rivista) o soffrire poco o soffrire da ricchi: questo è l’assunto dei progressisti. Concludiamo così con alcune “perle” riportate dalla “Nuova Ecologia” che dimostrano tale assunto.

Scopriamo che Andy Wahrol, oltre ad essere geniale e oltraggioso (del sistema alla cui greppia attingeva a quattro ganasce), è anche ecologicamente corretto, perché il “nostro” (naturalmente radical-progressista) avrebbe avuto un amore “commovente” per la natura, avendo sfornato delle opere con dei coloratissimi animali in via di estinzione. Sappiamo pure che Aldo Pavaricini (40 anni, figlio di Giulia Maria Crespi presidente del Fondo Ambiente Italiano e signora dell’editoria) possiede un’azienduccia di 600 (seicento) ettari nella quale dimostra la bontà della biodinamica (… quando si dicono gli esempi da portare ai nostri agricoltori in crisi).

Dulcis in fundo, l’intramontabile Pratesi disserta sull’ “ecologia dello spaghetto” (sic). Ci viene fatto sapere che l’”ecologo di vita” dovrà dare la preferenza proprio agli spaghetti. Ma, attenzione, non a tutti i tipi di spaghetto o, ancor meno, ai fusilli, ai rigatoni, orecchiette, etc.: la scelta va agli spaghettini n. 3, che hanno bisogno di soli cinque minuti di cottura, a differenza dei n. 7, che già ne richiedono otto. Insomma, è tutto risparmio di energia. Per non parlare delle orecchiette pugliesi, per le quali (udite, udite!) ci vogliono venti minuti di cottura o le cicerchie e i ceci, per i quali lo spreco di combustibile per la cottura appare addirittura rovinoso.

Quando si dice lo sdegno e la coscienza in ordine.