L’Unione: Strafalcioni e scopiazzature anche per la parte economica

Prodi_programmaTratto da Il Domenicale

281 pagine per dire tutto e il suo contrario. Perché il programma è solo la cornice, poi (parole sue) sarà Prodi a disegnare il quadro. Epperò già dalla cornice si capisce che non sarà un grande paesaggio: nel burocratese più antico i sogni della Sinistra, i nostri incubi

di Massimiliano Longo

Il denominatore comune del programma economico dell’Unione è forse sintetizzabile così: Berlusconi ha sbagliato tutto, è tutto da rifare però…. forse aveva ragione lui: la strada del federalismo fiscale è giusta, la strada del taglio delle tasse e dei contributi sociali è corretta, la strada della ricerca di nuove forme di flessibilità e libertà è da condividere, anzi dobbiamo fare di più.

Insomma, non si capisce se le critiche al Governo siano riconducibili all’idea che si sia sbagliato tutto o che non si sia fatto abbastanza, ma nella direzione giusta. Evidentemente non è la stessa cosa. Nel programma d’altronde si legge un po’ di tutto. Del resto sono contraddittori gli stessi slogan usati da questo o quell’esponente politico dell’Unione, divisi tra «È tutto da buttar via, la Legge Biagi al macero!» e «valutiamo caso per caso, cerchiamo di migliorare senza distruggere il sistema…».

Lasciamo da parte gli slogan e le semplificazioni elettorali, cerchiamo di capire se esiste una strategia di politica economica dell’Unione sulla base del programma appena presentato.

Federalismo fiscale

Leggiamo qua e là, avvisando il lettore che nel corposo tomo di 281 pagine si trova un mare magnum di buone intenzioni su “cosa” si dovrebbe realizzare, ma senza traccia del “come “ raggiungere risultati concreti. Anche solo sul “cosa fare” si segnalano intenzioni spesso generiche, talvolta contraddittorie, quasi sempre finalizzate sorprendentemente a perseguire linee di azione già impostate dal Centro Destra. Cominciamo dal federalismo fiscale, valorizzato nel programma dell’Unione tra le parti iniziali e quindi maggiormente qualificanti la futura azione di governo, (è inserito addirittura prima delle proposte sul conflitto di interessi).

Dopo alcune generiche affermazioni di sana demagogia localistica tipo «assicurare una reale partecipazione interistituzionale ai momenti decisionali sulle regole di finanza pubblica» oppure «attuare l’ampliamento delle forme di partecipazione alla predisposizione dei provvedimenti di Bilancio» (immaginiamo già che la Legge Finanziaria venga negoziata su infiniti tavoli di concertazione totalmente improduttivi tra Stato ed enti locali …), si cerca invano qualcosa di concreto.

Ecco i passaggi decisivi: «attribuire alle Regioni e agli Enti locali tributi propri e quote di partecipazione al gettito di tributi erariali» e anche «attivare gli strumenti di perequazione tra territori ed i finanziamenti di obiettivi straordinari di sviluppo».

Se uno studente universitario del secondo anno di una qualsiasi facoltà di Economia, in sede di esame, cascasse dalle nuvole dicendo che in Italia «occorre attribuire tributi propri e quote di tributi erariali agli enti locali e inoltre che occorre attivare meccanismi perequativi», sarebbe certamente bocciato: Ici ed Irap non sono già tributi propri di Comune e Regione? Forse non esistono già addizionali comunali e regionali dell’Irpef? Forse non esistono già trasferimenti in chiave perequativa?

Allora o il programma dell’Unione vuole realizzare quello che già esiste, magari potenziando l’autonomia impositiva locale – pur senza indicazioni sul “come”- e quindi la politica dell’attuale Governo è giudicata corretta, o forse si ritiene che occorra reimpostare tutto il sistema di finanza locale, magari perché non piace l’Irap. Ma se ricordiamo bene, proprio loro hanno introdotto la famosa imposta regionale che colpisce le imprese su una base imponibile innaturale, data dall’utile di bilancio aumentato del costo del lavoro e dal costo dell’indebitamento.

La proposta di abolirla è nel programma del Centro destra; già sono stati operati consistenti tagli e riduzioni dell’imposta nel corso della legislatura. Forse l’Unione vuole la stessa cosa? Difficile crederlo.

Passiamo al cuore del programma economico. Quanto fatto sin qui non va bene, è da buttare, si leggono frasi, peraltro dalla discutibile costruzione ed efficacia, quali: «Per il rilancio del Paese…serve un cambio di paradigma economico e sociale» affermazione che è interpretabile in tutte le direzioni, dal sommovimento anticapitalista di Bertinotti alle posizioni liberiste più sfrenate. Ma in concreto «questo cambio di paradigma» come si realizza?

Sacrifici e crescita insieme, non prima sacrifici e poi crescita. Benissimo, ma come si fa? Non c’è una idea. O forse una la si può trovare, su quello che non va fatto: «La sfida della concorrenza globale non può essere affrontata con successo sfruttando la riduzione dei costi, in particolare di quello del lavoro».

Qui il lettore ha un sussulto: ho letto bene? Forse c’è un refuso e la frase va intesa così: «la sfida….non può che essere affrontata sfruttando la riduzione dei costi, in particolare quello del lavoro». E invece no, la prima versione è quella buona. Ma come, Prodi parla tra gli applausi di riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro per le aziende di 5 punti percentuali – ovviamente senza dire come si possa fare, con quale copertura finanziaria, se non parlando di generici aumenti contributivi per gli autonomi – e il programma ufficiale, quello cui tutti si riferiranno nell’elaborare proposte di governo (c’è scritto, si fa, non c’è scritto non si fa!) dice l’esatto contrario: non si riducono i costi delle imprese a cominciare da quello del lavoro.

Sembra copiato dal Centrodestra

Anche le critiche politiche al programma sono complicate da impostare: non volete ridurre i costi delle imprese italiane per aumentarne la competitività? La strada del declino per il sistema Italia è segnata. Volete ridurre i costi per le imprese? È quello che il Centrodestra sta cercando di fare dall’inizio della legislatura, con risultati parziali, ma sempre nella stessa direzione: quindi o volete essere più di destra di Berlusconi o forse la politica del taglio dei costi aziendali è di sinistra moderata e la sta già facendo il Governo.

Volete un radicale taglio del 5% del costo del lavoro? Benissimo, ma come lo si finanzia? Con incrementi contributivi e fiscali a carico del vasto mondo del lavoro autonomo, dei professionisti, piccoli e micro imprenditori, artigiani, commercianti? Si vuole forse un conflitto di classe su chi si faccia carico dei sacrifici necessari per la ripresa?

Scorrendo il programma gli esempi di contraddizioni sono senza fine. In materia di lavoro e welfare leggiamo: «Uno sviluppo di qualità richiede un modello sociale nuovo più attento alla solidarietà ed ai bisogni delle persone». La prima reazione è di entusiasmo, finalmente ci siamo arrivati: le idee di Tony Blair si stanno facendo strada anche a sinistra, è alle porte il nuovo welfare che protegge davvero solo chi ha bisogno e non dà tutto a tutti, dando quindi troppo poco a ciascuno! Ma bastano poche righe per deludere ogni speranza: «Un sistema di welfare universalistico e attivo…serve a dare sicurezza….». è il solito welfare universalistico all’italiana, tutto a tutti, poco a chi ha davvero bisogno.

Ma torniamo alla politica fiscale, si legge “ occorre….riequilibrare il prelievo fiscale a favore dei redditi bassi, del lavoro e delle imprese innovative, abolendo gli ingiustificati vantaggi per le rendite..”. Benissimo, ma la riduzione del carico fiscale per i redditi bassi, soprattutto per i lavoratori dipendenti, è già stata largamente avviata con la no – tax area e la family area dal Governo; allora la strada è giusta! Si tratta solo di continuarla, ma perché farlo fare a chi l’ha sempre combattuta per 5 anni? E la riduzione del carico fiscale per le imprese innovative non è forse stato già avviato con vari incentivi tra cui la riduzione Irap per le imprese che spendono in ricerca e sviluppo?

Resta il mistero sul punto degli ingiustificati vantaggi per le rendite? Si ricorda che i cosiddetti ingiustificati vantaggi sono legati a scelte di tassazione tendenzialmente uniformi a livello europeo. Li si vuole eliminare? Benissimo, almeno un punto è chiaro, l’Unione vuole tassare il risparmio delle famiglie e dei cittadini secondo la impostazione culturale vetero marxista per cui le rendite sono il male assoluto, comunque prodotte.

Peccato che larghissima fetta delle cosiddette rendite sia rappresentato dal risparmio accumulato in anni di lavoro da piccoli risparmiatori e dalla gran parte delle famiglie italiane. Le eventuali modalità di tassazione sono indefinite: con la patrimoniale? Con l’inclusione dei risparmi nella tassazione Irpef, cioè progressiva? Con ritenute alla fonte più alte delle attuali?

Non si sa, e forse non sa – o fa finta di non sapere l’estensore del programma – che ci troviamo in un mercato aperto, di libera circolazione dei capitali in Europa, con avanzato grado di coordinamento fiscale proprio sul tema delle rendite finanziarie; in che direzione ci muoveremo? Nel solco o contro le linee comuni europee sulla materia? Vogliamo proprio la fuga di capitali all’estero, aumentando il prelievo sui risparmi?

Di tutto si potrebbe discutere, se si capisse la reale direzione di marcia dell’Unione, ma per farlo il programma non aiuta.