Intorno alla ”guerra santa”. (risposta a J. Maritain)

tratto da: LA GUERRA NAZIONALE SPAGNOLA DI FRONTE ALLA MORALE E AL DIRITTO 

del padre Ignacio G. Menendez – Reigada O.P

Docente di Teologia Morale, membro dell’associazione Francisco de Vitoria

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È giunto tardivamente nelle mie mani un articolo di J. Maritain, nel quale mi si cita e mi si contesta per avere chiamata “guerra santa” la nostra guerra nazionale.

Questo articolo è stato pubblicato nella “Nouvelle Revue Française” col titolo “De la guerre sainte”, e solo in questi giorni ho potuto leggerlo interamente, anche se di esso mi era già stato riferito qualcosa. In verità non era molto necessaria questa mia risposta all’illustre filosofo dopo la Lettera Collettiva dei Vescovi spagnoli, alla cui autorità mi auguro che Maritain si arrenda da buon cristiano, lasciando cadere la benda dai suoi occhi.

Infatti, in questa Lettera si assume una posizione diametralmente opposta alla sua, con degli argomenti tanto contundenti e con dei fatti così rilevanti che nessuno, leggendola, potrà non vedere la vera luce, a meno di ostinarsi volontariamente nella sua cecità. D’altra parte, non è mancato chi ha immediatamente spezzato una lancia in favore della verità oltraggiata: nella rivista Criterio di Buenos Aires hanno vittoriosamente replicato a Maritain il direttore della stessa, Mons. Gustavo J. Franceschi, ed il suo redattore, don Julio Meinvielle, i quali, nei rispettivi articoli, hanno triturato completamente il citato studio della Nouvelle Revue Française, rovesciando a terra tutte le sue arguzie e i suoi sofismi.

Sarà dunque inutile che io tracci queste linee per confutare quanto è già stato confutato a dovere? Obbediranno forse ad un desiderio malsano di accanirsi sulla vittima? No di certo, anzi al contrario. A mio modo di vedere potrebbe darsi disprezzo se non rispondessi quando un uomo così prestigioso come Maritain mi fa l’onore di citarmi per combattere le mie proposizioni. Anche dall’emittente “Union Radio”, di Madrid, mi ha contestato – secondo quanto mi si è detto – lo sventurato Morales, ma altro non ho risposto alle cose che mi hanno riferito se non che considero un alto onore il fatto che un prete apostata non sia d’accordo con la mia dottrina.

Il caso presente è molto diverso. Non si tratta di un apostata, ma di un cattolico, apparentemente sincero, di indiscutibile merito intellettuale, che ha prestato tanti buoni servizi alla scienza cattolica e merita, pertanto, tutto il nostro rispetto e considerazione. Proprio perché è così rilevante la sua personalità, è più lamentevole l’equivoco di cui soffre e può causare maggiori traviamenti nella coscienza cristiana, per cui è un dovere di carità apprestarci a tendergli la mano affinché deponga il suo errore e vengano dissipate le ombre che potrebbe suscitare in molte intelligenze.

Tanto più che a causa dell’articolo citato e di altre sue prese di posizione, i nemici della Religione in Spagna considerano Maritain come un animatore e difensore della loro causa, e così appare in verità, quantunque egli faccia dichiarazioni in senso contrario.

L’errore di Maritain in questo caso non sminuisce per niente i suoi meriti anteriori, perché dipende soprattutto da un difetto di visione o di prospettiva. Egli ha visto sorgere da qualche parte il pericolo di uno statalismo totalitario in senso hegeliano e panteista, il pericolo di una divinizzazione dello Stato, e, senz’altro, ha creduto che questo pericolo in Spagna venisse forgiato dalla parte dei nazionali, e gli è sembrato che potesse arrecare alla nostra santa Religione conseguenze quasi tanto funeste come quelle del marxismo. Perciò rifiuta di riconoscere che la nostra guerra nazionale sia una “guerra santa” ed adotta altre posizioni ugualmente erronee essendo fondate su una falsa visione della realtà.

È il pericolo insito nel mettersi a filosofare su quel che non si conosce. Un antico proverbio della Castiglia dice che sa più lo stolto nella sua casa che il saggio in quella altrui. E dato che solo con questo titolo è conveniente sapere, perché parlo di cose che sto palpando e vivendo dato che accadono dentro la mia casa o la mia nazione, mentre egli parla di cose che accadono fuori dalla sua casa e che non si è curato di osservare neppure dal buco della serratura, ma che conosce solo per le grida che ne fuoriescono – grida sempre più forte quello che ha meno ragione -, mi azzardo a confrontarmi con tutte le filosofie del nostro illustre contestatore allo scopo di sostenere le nostre tesi.

Anche se dovrei nascondermi a causa della mia piccolezza, considerando che da trent’anni insegno la filosofia e la teologia di S. Tommaso, trincerato nelle sue dottrine, posso sentirmi tanto forte quanto lui. E passiamo alla nostra tesi.

La guerra nazionale spagnola è una guerra santa ed è la più santa che si registri nella storia.

Tale è la conclusione che abbiamo sostenuto nel nostro piccolo studio citato e che scandalizza Maritain parendogli sommamente pericolosa e con conseguenze funestissime per la religione cristiana. Gli argomenti che là allegavamo non gli sono sembrati convenienti.

Perciò scrive: “In ogni caso il ragionamento in questione tenderebbe di suo a provare che si tratta di una guerra giusta, non di una guerra santa nel senso proprio che la filosofia della storia e della cultura deve riconoscere a questa parola e sulla quale riposano le nostre osservazioni presenti”. Orbene, io affermo di nuovo che la guerra nazionale spagnola è guerra santa, nel senso proprio e più proprio della parola, secondo la filosofia e la teologia della storia. E anche se gli argomenti proposti allora siano più sufficienti di quel che pensa Maritain e dimostrino a sufficienza la nostra tesi, mi accingo ora a provarla in maniera un po’ diversa, per non ripetere le stesse cose e per vedere se per altri canali la verità giunga più facilmente alla sua intelligenza.

Comincerò da un sillogismo, anche se per questo sarò tacciato di rancido; ma invito chiunque ad insegnarmi una forma di argomentazione più chiara, precisa e contundente. Dice un antico principio scolastico che “la ragione di essere di due cose contrarie è la stessa” (contrariorum eadem est ratio). È perciò che da parte di chi è nostro contrario o nemico la ragione fondamentale della guerra è quel che è santo in senso contrario.

Dunque la guerra dalla parte dei nazionali ha come ragione fondamentale quel che è santo, ed è di conseguenza una “guerra santa”. Suppongo che nessuno metterà in discussione il principio stabilito, e neppure il fatto che le due parti belligeranti siano contrarie. Andiamo, dunque, a provare che la ragione fondamentale della guerra da parte di quelli del Fronte Popolare è quel che è santo, che si sono proposti di distruggere. Con che resterà dimostrata la nostra conclusione; vale a dire che la guerra da parte del Governo Nazionale è santa nel senso proprio della parola, avendo come principale ragione di essere la difesa di quel che è santo.

La guerra da parte del fronte popolare è “anti santa” e “anti divina”.

Non so cosa intenda Maritain per santo in senso proprio. Io intendo che nella vetta di ogni santità c’è Dio, che è il santo per eccellenza. E fuori da Dio, tanto più sante sono le cose quanto più partecipano di Lui, a Lui si avvicinano e a Lui conducono. Perciò è santa la Chiesa Cattolica e la Religione Cristiana, con i suoi sacramenti, con i suoi ministri, con i suoi dogmi, con la sua morale, col suo culto e coi suoi luoghi e oggetti destinati al medesimo.

Per quanta filosofia della storia si sappia, nessuno mi negherà che tutto ciò è santo, nel senso proprio della parola. Orbene, la guerra dei marxisti e dei loro comprimari è ordinata contro tutto ciò. E non come fine secondario o sussidiario, bensì come motivo principale del loro agire e primo bersaglio contro cui sono diretti i loro tiri.

L’Episcopato spagnolo, nella sua Lettera Collettiva, così si pronuncia: “La rivoluzione comunista, alleata degli eserciti del Governo, è stata, soprattutto antidivina”. E altrove: “Ma, soprattutto, la rivoluzione è stata ‘anticristiana’”. Non crediamo che nella storia del Cristianesimo e nello spazio di alcune settimane si sia data una simile esplosione, in tutte le forme di pensiero, di volontà e di passione, dell’odio contro Gesù Cristo e la sua sacra religione.

La distruzione che la Chiesa ha sofferto in Spagna è stata tale, che il delegato dei rossi spagnoli inviato al Congresso dei “senza Dio”, a Mosca, ha potuto dire: “La Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, dato che la Chiesa in Spagna è stata completamente annichilita”.

Ma vediamo se questi testimoni concordano con il pensiero sovietico-marxista che anima la risoluzione spagnola, o sono invece i nostri degnissimi Prelati quelli che lo hanno travisato. Poche parole dei Corifei della rivoluzione marxista ci faranno vedere la esattezza dell’interpretazione del nostro Episcopato.

Lo stesso Marx ha lasciato scritto: “La distruzione della religione, in quanto felicità illusoria del popolo, è una esigenza della sua felicità reale” (Karl Marx: “Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel”; Opere filosofiche, T. I, pag. 85). E Lenin aggiunge: “È necessario combattere la religione, ecco l’ABC del marxismo integrale”.

E Liebnecht conferma: “Noi, i socialisti, abbiamo l’obbligo di estirpare con decisione e abnegazione la credenza in Dio, e nessuno può essere degno di chiamarsi socialista se non chi è ateo e si dedica con forza alla propaganda dell’ateismo”. E Lunatcharsky sottoscrive: “Noi odiamo il cristianesimo, e i cristiani, anche i migliori di loro, devono essere considerati come i nostri peggiori nemici”. E, infine, sentiamo quanto ci dice il programma dell’Internazionale comunista (1 settembre 1928): “Tra gli obiettivi della rivoluzione culturale … la lotta contro la religione, quest’oppio del popolo, occupa un posto preminente”.

A che scopo seguitare ad accumulare testi? Con i pochi che precedono ci sembra ben chiaro quale sia il principale obiettivo della rivoluzione sovietico-marxista: la guerra contro Dio, contro ogni religione, contro tutti i cristiani, che devono essere visti come i suoi peggiori nemici. Sarebbe troppo candido chi pensasse che le espressioni citate non abbiano applicazione nella presente guerra. In essa, al contrario, sono stati superati tutti gli intenti satanici che il calcolo dei suoi primi ideatori avesse potuto forgiare.

L’eloquenza dei fatti è di molto superiore all’eloquenza delle parole. Sistematicamente, in tutto il territorio dominato dai rossi, è stato perseguitato e distrutto quel che è santo con una furia davvero luciferina. I sacerdoti e i religiosi sono stati ricercati per monti e nascondigli con un impegno incomparabilmente maggiore di quello attuato verso i ricchi o i nemici politici non cattolici; li si è assassinati, nella maggioranza dei casi, senza svolgimento di un processo, per il solo fatto di essere ministri di Cristo, calcolando in 16.000 il numero di quelli che hanno finora sofferto il martirio.

Con odio non minore sono stati perseguitati tutti coloro che erano conosciuti come cattolici; ed il solo fatto di portare con sé qualche oggetto religioso, quale una medaglia, un rosario, uno scapolare, o il rinvenirlo nella di lui abitazione, era un motivo sufficiente per condannarlo a morte. Il numero dei cattolici morti in questo modo è incalcolabile, ma si potrebbe già valutare in centinaia di migliaia. In molti casi non si sono accontentati di ucciderli, ma hanno sperimentato su di essi i tormenti più orripilanti, alcuni dei quali non hanno precedenti nella storia.

Come contro le persone, la furia rossa è stata sperimentata contro tutte le cose sante: il culto cattolico proibito per ogni dove, in pubblico e in privato; gli edifici di culto rasi al suolo, eccetto qualcuno che fu dedicato ad uso profano e, a volte, a sentina del vizio; i sacrilegi immondi e diabolici perpetrati contro Cristo, nascosto nell’Ostia santa per amor nostro; la profanazione vilipendiosa delle immagini e di ogni oggetto sacro; la violazione delle tombe per esporre i resti in esse contenuti in spettacoli macabri, facendone oggetto di sollazzi grotteschi e burlandosi dell’immortalità dell’anima; con altri fatti simili, che non è possibile fermarsi neppure a numerare, e che costituiscono la prova più palmare che la rivoluzione scatenata dai rossi era diretta in primo luogo contro la religione e contro tutto ciò che è santo.

E, in corrispondenza di questi fatti, sta la propaganda pertinace dell’ateismo; l’odio e la proibizione del matrimonio cattolico – che è anch’esso cosa santa – e l’induzione sistematica a compiere tutto quel che può minacciare la famiglia cristiana; l’immoralità intronizzata e fomentata con ogni mezzo e la blasfemia quasi imposta a chiunque voglia passare per rosso autentico.

Mi dica ora il mio saggio contendente, con tutte le sue filosofie, se la guerra spagnola, da parte dei nostri avversari, non è anti santa: contro quel che è santo. E se è anti santa da parte di coloro che ci sono contrari – a meno che egli non abbia inventato una logica diversa da quella che conosciamo – dovrà riconoscere che da parte dei nazionali la nostra guerra è santa.

Dice M. Maritain che “la filosofia è cosa difficile, e ognuno la intende secondo la misura delle sue facoltà” . Orbene, credo che l’argomento precedente sia alla portata delle intelligenze più mediocri, e sarà compreso da tutti, a meno di essere per caso come certi filosofi che, a forza di aguzzare l’ingegno, ne rimangono privi. E non la prenda come allusione personale.

Perché la nostra guerra è santa.

Ma è necessario analizzare più direttamente il concetto di “guerra santa” per giungere alla medesima conclusione. Tutto il contenuto concettuale di qualunque cosa, viene determinato perfettamente dalla conoscenza delle sue cause. Ciò è noto a chiunque abbia scorso le nozioni più rudimentali della dialettica. Detto questo, non c’è altro da fare che investigare filosoficamente ciascuna delle cause di questa guerra e questo ci dirà se è santa oppure no.

Non è santa a causa del soggetto che la mette in esecuzione.

I filosofi distinguono quattro tipi di cause: efficiente (o agente), materiale, formale o finale. Lasciando da parte la causa materiale, che non ha applicazione al presente caso, esaminiamo ordinatamente ciascuna delle altre. Una guerra potrebbe dirsi santa in ragione della sua causa efficiente, se chi la mette in esecuzione fosse un’entità santa e operasse precisamente sotto l’aspetto della sua santità.

In base a questo concetto – che sembra essere l’unico considerato da Maritain – nessuna guerra è mai stata santa. Parlando con proprietà di linguaggio, l’unica società santa che esiste nel mondo è la Chiesa Cattolica, ed essa, in quanto tale, non ha mai dichiarato una guerra, perché non è questa la sua missione. Le guerre le hanno sempre fatte gli Stati, i popoli, i monarchi, che possono essere santi, come S. Luigi di Francia o S. Ferdinando di Spagna, ma che non fanno la guerra in quanto santi, bensì come Capi dello Stato o della Nazione.

Perciò a Maritain sembra tanto difficile comprendere la nozione di “guerra santa” anche nelle civiltà “di tipo sacrale”, come si verificava in alcuni popoli dell’antichità, e pensa che quella “guerra santa” è del tutto impossibile nelle civiltà moderne, che sono “di tipo profano”. E per provare il suo asserto si perde in elucubrazioni che egli chiama “filosofia della storia”, mescolando confusamente le quattro cause, dalla cui distinzione dipende la soluzione del problema.

C’è chi pensa che la filosofia consista nell’arruffare la matassa di un ragionamento in modo tale, che coloro i quali discorrono col senso comune non siano capaci di sbrogliarla. Il signor Maritain ci lasci seguire il filo del nostro discorso e vedrà come ne esce fino a giungere alla nostra conclusione, quasi fosse di seta.

Diciamo, dunque, che non è per la sua causa efficiente, per il soggetto che la mette in esecuzione, che una guerra si chiama “santa”. Anche se si prendono in considerazione dei popoli “di tipo sacrale”, come l’antico popolo ebreo o molti altri del Medioevo, essi non fanno la guerra in quanto “sacri”, ma in quanto “popoli” e, consideratala guerra sotto questo aspetto, non potrebbe mai dirsi “santa” in senso proprio.

Non dimentichiamo il classico esempio appreso da bambini nelle scuole di Logica: Medicus cantat. Non canta in quanto medico, bensì in quanto uomo; perciò dire che, siccome il medico canta, il canto è un medicinale, sarebbe un sofisma.

È vero che la Chiesa a volte ha indotto alla guerra, come nel corso delle Crociate, o l’ha approvata e considerata come buona, come al presente in Spagna. Ma questa è una cosa meramente estrinseca, che non imprime alla guerra stessa il carattere “sacrale”. Supposto, quindi, che nessuna guerra sia santa per la sua causa efficiente, vediamo se possa esserlo per la sua causa formale, che è quella che costituisce la sostanza della cosa.

Non è santa per quel che è in se stessa.

Sarebbe una cosa ridicola dire che la guerra, considerata in sé stessa, sia cosa santa. È una cosa umana, di ordine temporale, che non include né esclude la santità. Qui dobbiamo notare una serie gravissima di confusioni in cui incorre il nostro insigne contraddittore.

La guerra, scrive, “non è soltanto qualcosa di profano, bensì una cosa aperta nel mondo dalle tenebre e dal peccato”. Cosa vuole dirci con questo? Che la guerra è una cosa intrinsecamente cattiva? Così sembra, ed allora appare chiaro che mai la guerra potrebbe essere santa per nessun motivo, poiché ciò che è intrinsecamente cattivo non può mai essere santificato. Ma se è questo quel che ha voluto dire, incorre in contraddizione con sé stesso, poiché ammette che la guerra possa essere giusta e, pertanto, lecita; e si pone in contraddizione con tutta la teologia cattolica, che ammette la liceità della guerra.

E se non ha voluto dire che la guerra è intrinsecamente cattiva, incorre in un’altra confusione non meno deplorevole, volendo dedurre che la guerra non può essere santa a causa del fatto di essere “profana” in sé stessa. Quante cose, in sé profane, diventano sante per qualcosa che sopraggiunge loro dal di fuori! Esamini le cose sante che conosce e vedrà che la maggior parte di esse ha la santità a causa di qualcosa di estrinseco alla loro natura.

Confusioni del signor Maritain.

E non minori confusioni implicano le seguenti parole: “Che si invochi, dunque, se la si crede giusta, la giustizia della guerra che si fa, ma che non si invochi la sua santità. Che si uccida, se si crede che lo si debba fare, in nome dell’ordine sociale o della nazione; questo è già sufficientemente orribile; ma che non si uccida nel nome di Cristo Re, il quale non è un capo guerriero, ma un Re di grazia e di carità”.

Difficilmente si potrebbero dire più spropositi con meno parole. Prima confusione: suppone che la guerra consista nell’uccidere, mentre la guerra non è questo, ma è la lotta violenta per riparare la giustizia offesa e ristabilire la pace. Ciò potrebbe essere ottenuto senza una sola morte se le scoperte scientifiche giungessero a scoprire armi che ferissero soltanto o addormentassero il nemico, e allora l’uccidere sarebbe illecito anche in guerra, perché l’uccisione è cosa che si giustifica solo in funzione del fine e nella misura indispensabile per conseguirlo.

Per questo si considerano illecite e contrarie al Diritto delle genti le armi che di loro provocano la morte, come le pallottole dum-dum, i gas asfissianti, le spade o le baionette avvelenate, eccetera. Il signor Maritain ha, dunque, una nozione molto falsa della guerra. Seconda confusione: pensa che noi si consideri santa la nostra guerra perché “si uccide nel nome di Cristo Re”. E lo conferma quando dice: “È un altro sacrilegio, di natura religiosa, vestire dei soldati mussulmani con le immagini del Cuore di Gesù, perché uccidano santamente i figli dei cristiani”.

A dire il vero, queste parole sembrano più di un comiziante che di un filosofo. No, certamente. Il fatto che le nostre milizie entrino in battaglia al grido di “Viva Cristo Re!”; che recitino il Rosario in trincea, come le truppe di Giovanni d’Austria a Lepanto, o quelle di Giovanni Sobiesky alle porte di Vienna; che i nostri soldati appendano sui loro petti l’immagine del Cuore di Gesù o altre insegne religiose, ed i soldati mussulmani facciano la stessa cosa, che sia per spirito d’imitazione o perché anch’essi lottano per difendere il nome di Dio che i rossi vogliono cancellare da questo mondo – suppongo che l’accusa di “sacrilegio” sia uno scherzo – e credono che anche Cristo sia stato un profeta di Dio, tutto questo non prova che la nostra guerra sia santa, bensì che viene fatta santamente – il che è diverso dall’uccidere santamente -. Quello è un modo accidentale (e, al più, un indizio di quel che la guerra è in sé), ma non la qualifica né determina intrinsecamente.

Una guerra può essere santa ma non essere fatta santamente: come può essere fatta santamente senza che per ciò sia santa. Ed ecco giungere un’altra nuova confusione. Dal fatto che vengano commessi alcuni eccessi da parte delle milizie nazionali – e credo che saranno in proporzione minima se confrontati con quelli commessi in qualunque guerra moderna, cosa che sarebbe necessario fermarsi a provare – Maritain vuole dedurre che la guerra non è santa, ma tanto cattiva e abominevole come quella che fanno contro di noi i nostri nemici.

Anche se fosse vero che da parte dei nazionali si commettono gli eccessi che appartengono a qualunque guerra, da ciò non deriverebbe che la guerra non sia santa, bensì che non sia fatta santamente. Ma è anche necessario dire che la guerra si fa santamente nel suo insieme, perché qualche fatto isolato e di carattere privato non può qualificare l’azione d’insieme. Maritain pensi alla Crociata portata a termine da San Luigi di Francia.

Calunnie ed imbrogli.

A questo proposito non si può passare sotto silenzio l’orrenda inesattezza – per non dire la criminale calunnia – con cui Maritain ci omaggia per mezzo di queste parole: “È un sacrilegio fucilare, come a Badajoz, certi uomini per celebrare la festa dell’Assunzione” … Questo non merita risposta, perché non si concepisce che ci sia un cattolico disposto a crederlo in buona fede.

Così come quanto segue: “Cominciano ad arrivare i testimoni del terrore bianco, e quel che già si sa, fa pensare che raggiunga un livello di crudeltà e di disprezzo dell’esistenza umana di rara grandezza. Ma che importa! Lo si è fatto in nome della guerra santa e sotto i segni e gli stendardi della religione; la Croce di Gesù Cristo brilla come un simbolo di guerra sull’agonia dei fucilati” …

Da dove arrivano al signor Maritain quelle testimonianze? Dai professionisti della calunnia, ai quali egli si compiace di dare più credito che ai cattolici e ai Vescovi. E se è vero che ci sono state e ci sono delle fucilazioni, queste si fanno in virtù di una sentenza pronunciata dai tribunali e confermata dall’autorità superiore, che in molte occasioni ha concesso l’indulto; ma non “in nome della guerra santa”. E se la Croce di Gesù Cristo brilla sull’agonia dei fucilati, non lo fa “come un simbolo di guerra”, ma come un simbolo di pace e di perdono, dato che a tutti i giustiziati si offrono gli aiuti spirituali affinché raggiungano la pace eterna, e molti di loro li accettano e muoiano pentiti nella pace del Signore.

Maritain vorrebbe forse che non fosse offerta quest’ultima consolazione ai criminali che si è costretti a giustiziare e che sulla loro agonia brillasse non la Croce del Redentore, che è simbolo d’amore anche verso i delinquenti contro cui si pronuncia la giustizia, ma la calce e il martello, simboli di odio e disperazione? Non vogliamo dubitare della buona fede di chi ha scritto le righe che abbiamo copiato, ma sembra impossibile che da un cattolico escano parole con un’intenzione così sleale e malevola.

E della stessa specie sono quelle altre parole: “È un orribile sacrilegio uccidere i sacerdoti – perché sono ministri di Cristo anche se “fascisti” – in odio alla religione; ed è un altro sacrilegio, anch’esso orribile, uccidere i poveri – che sono il popolo di Cristo anche se “marxisti” – in nome della religione”. Il signor Maritain lo impari se non lo sa: nel territorio dominato dai nazionali non si uccidono “i poveri”, siano o no marxisti, che in Spagna non sono mai stati tanto considerati e aiutati come dal Governo Nazionale; ma si uccidono i criminali, e non “nel nome della religione”, ma nel nome della giustizia. E proseguiamo l’analisi con la nostra filosofia rancida, già che quella del signor Maritain sembra essere di suo uso esclusivo e personale.

La guerra è santa per il suo oggetto.

La guerra è un atto dell’uomo e, secondo questa nostra filosofia, gli atti si specificano e denominano per i loro fini. Un atto sarà santo quando il suo fine è santo, e sarà cattivo o indifferente quando è cattivo o indifferente il suo fine. Di conseguenza, non avendo detto che la nostra guerra è santa per il soggetto che la compie (causa efficiente), nonostante sia un popolo in maggioranza cattolico, né per il modo in cui la compie (causa formale), anche se in generale viene fatta in modo santo, ci resta da vedere solo se la guerra possa dirsi “santa” per il fine, ossia per la sua causa finale.

Quale é il fine della guerra nazionale spagnola? Ascoltiamo nuovamente l’Episcopato Spagnolo nella sua magnifica Lettera Collettiva: “Affermiamo, dice, che la sollevazione civico – militare ha avuto una doppia radice nel fondo della coscienza popolare: quella del senso patriottico che ha visto in essa l’unica maniera per rialzare la Spagna ed evitare la sua definitiva rovina; e il senso religioso, che la considerò come la forza che doveva ridurre all’impotenza i nemici di Dio e la garanzia della continuità della sua fede e della pratica della sua religione”.

E altrove: “La guerra è, quindi, come un plebiscito armato … la lotta cruenta di un popolo diviso in due tendenze: quella spirituale, dalla parte degli insorti, che voleva la difesa dell’ordine, della pace sociale, della civiltà tradizionale e della patria, e con molta evidenza, in una gran parte, la difesa della religione; e d’altra parte, quella materialista, la si chiami marxista, comunista o anarchica, che volle sostituire la vecchia civiltà di Spagna, in tutti i suoi aspetti, con la nuovissima “civiltà” dei soviet russi”.

Secondo questi testimoni, la guerra da parte dei nazionali, ha avuto un triplice fine, che comprende tutti gli altri: fine patriottico, fine storico (la civiltà tradizionale) e fine religioso. Questo triplice fine viene messo in risalto nei discorsi e nelle dichiarazioni dei capi del nostro Movimento, in particolare in quelli del nostro “Caudillo”, il generalissimo Franco, e in quelli del compianto Generale Mola. E non è necessario trascrivere qui le loro parole, perché ne abbiamo già copiate alcune nel nostro piccolo studio citato e sono ben conosciute da tutti.

I fatti confermano che questi tre valori sono quelli messi in discussione nella guerra nazionale attuale: la Patria, che quelli del Fronte Popolare vorrebbero rendere schiava della tirannia sovietica; la civiltà tradizionale e cristiana, che i nostri nemici vorrebbero distruggere per sostituirla con la barbarie materialista; e la Religione Cattolica, che in qualche modo va inclusa nel fine precedente, dato che la civiltà ispanica è essenzialmente cristiana, ma che è quella che da sola ha più fortemente innalzato lo spirito popolare così profondamente cristiano e quella che il nemico cercava di annientare con maggior ardore.

Fra questi tre fattori, che integrano lo spirito del movimento, ci sarà chi darà il primato ad uno o ad un altro, ma senza escludere i restanti. Nel programma della Falange, che Maritain cita, sembra avere il primato il fine patriottico, ma gli altri due sono inclusi e contenuti nei suoi articoli, come non potrebbe non essere, perché chi ama la Spagna deve amarla come essa è, con la sua religione e la sua storia.

Miguel de Unamuno, testimone per nulla sospetto, ha dichiarato solennemente in un discorso, poco dopo avere esaltato il conflitto bellico, che si era posto risolutamente a fianco del movimento “perché esso rappresenta la difesa della civiltà occidentale e cristiana contro la barbarie asiatica”. E i nostri requetés, che costituiscono il maggior contingente delle nostre milizie popolari, lottano coraggiosamente “per Dio e per la Patri”, mettendo Dio davanti al resto, come è logico e naturale.

Orbene, se gli atti umani si specificano, qualificano e denominano per i loro fini, l’attuale guerra deve specificarsi, e denominarsi in funzione dei fini indicati, dicendo pertanto che è una guerra patriottica, a causa del suo fine di difendere la Patria; una guerra sociologica, a causa del suo fine di difesa della civiltà tradizionale; e una guerra religiosa (o che è lo stesso, “guerra santa”, posto che la religione è cosa santa), in ragione del suo fine di difendere la causa di Dio e della Religione cristiana.

E anche se possiamo dire di essa tutte e tre le cose con proprietà, conviene maggiormente darle la denominazione di “guerra santa” piuttosto che ogni altra, poiché è un principio di filosofia, che Maritain sembra ignorare, che “le cose si denominano per ciò che hanno di più importante” (res denominatur a potiori), e nessuno metterà qui in discussione che la cosa più importante è la Religione, che è il più eccelso dei valori umani.

Un “argomento formidabile”.

Ma qui Maritain brandisce con aria di trionfo un argomento che considera decisivo. “Per sua essenza, scrive, la guerra fa parte delle cose che sono di Cesare, è per eccellenza una cosa temporale, poiché turba fino in fondo – fino al sacrificio degli uomini – la città temporale, ogni guerra coinvolge interessi politici ed economici, cupidigie della carne e del sangue.

Senza dubbio in una civiltà di tipo sacrale, questo peso terreno potrebbe svolgere un ruolo strumentale verso i fini spirituali che avevano realmente il primato, non solo nelle intenzioni dei cuori, ma anche nel moto oggettivo della storia … Ma nei tipi di civiltà come la nostra, in cui … il temporale è perfettamente distinto dallo spirituale, oltre tutto assai autonomo, e non c’è un ruolo strumentale nei confronti del sacro, in queste civiltà di tipo profano, la nozione di guerra santa perde tutto il suo significato”.

Analizziamo dettagliatamente queste affermazioni; . Cosa intende Maritain per civiltà “di tipo profano”? Sembra quelle in cui “il temporale è distinto dallo spirituale”. Ah! ma allora tutte le civiltà cristiane sono “di tipo profano”, perché fin da quando il Vangelo è stato promulgato, il temporale è stato distinto dallo spirituale. Maritain però dimentica che in ogni civiltà cristiana nonostante il temporale sia distinto dallo spirituale, non è separato né è in opposizione, ma in perfetta armonia e dipendenza.

Per ricavare la conclusione che egli desidera, ci dà una falsissima nozione di civiltà di tipo profano. Per civiltà di tipo profano io intendo quella in cui l’elemento religioso non è tenuto in nessun conto, né nell’ambito politico, né in quello sociale, né nei pubblici costumi e istituzioni del paese; una civiltà atea o quantomeno razionalista. In un popolo in possesso di una tale civiltà difficilmente si capirà una “guerra santa”. Ma la civiltà spagnola che viene difesa in questa guerra, non è di questo tipo.

Fra i due tipi di civiltà, quella “sacrale” o sacra, come quella degli antichi ebrei, e la civiltà profana nel senso proprio del termine, ce n’è una di tipo intermedio, che è quella che tutti conosciamo col nome di “civiltà cristiana”, nella quale, rimanendo distinti i due elementi, spirituale e temporale, la Chiesa è riconosciuta come istituzione divina con tutti i suoi diritti, e l’insegnamento, le leggi, i costumi e le pubbliche istituzioni si adeguano alle norme della morale cattolica ed esprimono, in grado maggiore o minore, un qualche grado di religiosità.

Il sofisma, dunque, è manifesto. Non si può dare guerra santa in una civiltà di tipo profano. Sicché in Spagna la civiltà è di tipo profano. Dunque in Spagna non può esserci guerra santa. Tale è il sillogismo implicitamente impiegato da Maritain. Orbene, se intende civiltà di tipo profano nel senso in cui mi sembra intenderla, io gli nego la premessa maggiore; se la intende in senso proprio, che è quello che abbiamo finito per assegnarle, gli nego la minore, ossia che la civiltà spagnola appartenga a questo tipo. In una o nell’altra proposizione attribuisce, dunque, alle parole un diverso significato, cosa che in filosofia si chiama sofisma.

. Affermare che nelle civiltà “di tipo sacrale” gli interessi terreni, politici, economici, ecc., potevano svolgere un ruolo “strumentale” nei confronti dei fini spirituali, e che esclusivamente per questo in tali civiltà poteva verificarsi la “guerra santa”, contiene un altro errore manifesto. No, certamente. Non si richiede, perché sia possibile la guerra santa, che quanto è terreno, umano, svolga una funzione solo strumentale in ordine a quanto è divino.

Quanto è umano può essere il fine della guerra, purché non sia il principale o l’unico ma sia subordinato e parziale, e la guerra essere santa. Oppure Maritain dimentica che un atto unico può avere fini diversi, che possono essere dipendenti gli uni dagli altri, oppure indipendenti tra loro? E ognuno di questi fini specifica e denomina l’atto, perché, a differenza di quanto accade per gli esseri della natura, l’atto umano può appartenere a specie diverse nello stesso tempo.

Facciamo un esempio. Io faccio un viaggio a Roma per visitare il sepolcro dei Santi Apostoli, per conoscere i monumenti artistici della Città Santa, per trattare qualche problema scientifico coi professori di quei centri d’insegnamento. Il mio viaggio sarà al contempo religioso, scientifico e artistico, in conformità con quei tre fini. Se quei fini sono indipendenti tra loro ed hanno la stessa importanza, tutti specificano l’atto in modo uguale; ma se sono subordinati ed uno di loro è primario, è questo quello che principalmente specifica e denomina l’atto.

Orbene, abbiamo già visto che la guerra spagnola ha tre fini: patriottico, storico e religioso, ed è a causa di quest’ultimo che la nostra guerra è santa, senza che gli altri discendano alla categoria di mezzi o di cose meramente strumentali. Ma fra questi fini, quello che è primario e al quale si subordinano gli altri due, considerando le cose oggettivamente, è senza dubbio il fine religioso. Dunque alla nostra guerra compete con più proprietà il nome di “guerra santa”, di qualunque altra denominazione.

E non si dica che nell’intenzione di alcuni quello che principalmente spinge è il fine patriottico; perché questo sarà un primo posto meramente soggettivo e di ordine intenzionale, ma non reale e oggettivo, che è quel che ci importa; inoltre costoro sono la minoranza in un popolo cattolico per la stragrande maggioranza, come è il popolo spagnolo.

Non toccare! Pericolo di morte!

Ah! ma il considerare la guerra come santa comporta un gran pericolo per la cristianità. “Corre il pericolo, ci dice Maritain, di rendere blasfemo quel che è santo … di portare a un parossismo senza rimedio gli odi antireligiosi”. “L’introduzione del mito della guerra santa nei presenti conflitti che soffre l’Europa, sarebbe una calamità irreparabile. Creando nei confronti della religione ferite morali e risentimenti insanabili di qua, favorendo un’alterazione interna e come un’islamizzazione della coscienza religiosa di là, questo mito darebbe al cristianesimo i colpi più duri”.

Dei colpi più duri, chiedo io, di quelli che gli si stavano dando in Spagna e che gli vengono dati in tutto il territorio dominato dai rossi? Degli odi più esasperati contro la religione cristiana, che si cercava di buttare fuori per sempre dalla terra di Spagna e, più avanti, dal mondo intero? Questa sì che sarebbe cosa impossibile, perché distrutta la religione in Spagna, come sarebbero riusciti a fare se non fosse stato per la nostra gloriosa sollevazione, non sarebbe rimasto alcun soggetto per ricevere quei colpi né qualcuno raggiungibile da quegli odi.

Non c’è nemmeno il pericolo che quel che è santo sia più vituperato di quanto lo fosse nei tempi precedenti il nostro movimento liberatorio, quando un abito religioso o talare non poteva apparire in pubblico senza che l’aria venisse inondata da una ventata di melma a uscita come da bocche infernali. Dei pericoli per la cristianità nel considerare come santa la nostra guerra? Basta aprire gli occhi alla realtà per convincersi di tutto il contrario.

La guerra nazionale spagnola è di una tale esemplarità che è da sé medesima sufficiente per iniziare una nuova era di fioritura cristiana in tutto il mondo. Così come la rivoluzione francese ha iniziato – almeno politicamente – un’era di incredulità e di allontanamento del mondo da Dio, così la nostra rivoluzione in senso inverso può fare sì che rinasca un’epoca di fede che si giudicava come già definitivamente perduta.

In questi tempi di indifferenza religiosa, quando molti pensavano che il cristianesimo fosse già entrato in agonia, che anche tra i credenti la Religione fosse relegata alla stregua di un mobile utile o elegante, che la fede non avesse più la capacità di innalzare gli spiriti al di sopra del livello delle cose umane, non è forse davvero esemplare vedere un popolo, che veniva considerato in decadenza, innalzarsi vigoroso sotto gli impulsi della sua fede, sapendo lottare e sapendo morire per quella stessa fede, per realizzare le imprese più eroiche, per raggiungere insieme la vittoria del martirio e la vittoria delle armi? Così lo ha inteso, con una visione piena della realtà, Paul Claudel nel suo poema “alla santa Spagna”.

Questo esempio della Spagna cattolica può da solo dare il colpo di grazia al mondo materialista, facendogli vedere che c’è una forza superiore a quella della materia, che spinge l’Umanità verso i suoi destini ultraterreni; può fare riflettere gli spiriti leggeri e incoscienti, mostrando loro che la Religione oggi ha lo stesso valore e può spingere a fatti tanto eroici come ai tempi più gloriosi del cristianesimo; può fare sì che i politici e i governanti si persuadano che non potranno mai affondare la barca di Pietro e la smettano di perseguitare la Chiesa di Cristo; può, infine, fare infiammare lo spirito religioso di molti popoli, che forse era sul punto di estinguersi. Magari approfittassimo di questa lezione di “filosofia della storia”, che non ci viene data dagli uomini ma dalla divina Provvidenza!

Una “lezione di filosofia”.

Ma sembra che Maritain voglia dare la sua lezioncina di filosofia anche alla divina Provvidenza. “È permesso mettere in dubbio, scrive, che la Provvidenza non abbia altro mezzo per salvare queste basi primordiali della vita umana se non la vittoria dei nazionalisti spagnoli e dei loro alleati”. Che è come se Maritain fosse malato e ai medici che gli dicessero essere necessaria un’operazione chirurgica per guarirlo, egli rispondesse: “Mi permetto di mettere in dubbio che la Provvidenza non abbia altri mezzi per curarmi”.

Ebbene, sissignore: la Provvidenza ha mezzi infiniti; ma quando ne mette uno solo alla nostra portata, abbiamo l’obbligo di adoperare quello, senza che ci sia permesso di dubitare che Essa ne abbia degli altri, né di discutere le ragioni per cui ci assegna questo e non gli altri. Umanamente parlando, non c’è altro mezzo per salvare la Spagna e, in Spagna, la Chiesa Cattolica, che la vittoria dei nazionali (non “nazionalisti”), ed è obbligo di tutti i cattolici cercare questa vittoria. L’incrociare le braccia dicendo che Dio ha altri mezzi per salvare, è il peccato e viene chiamato “tentare Dio”.

Né vincitori né vinti.

Ma Maritain non si trattiene a causa di queste quisquilie. Per lui c’è una cosa molto migliore della vittoria dei nazionali, la quale secondo lui sarebbe sommamente pericolosa. Che soluzione trova il nostro filosofo per un problema così tragico, la quale, a suo dire, eviterebbe tutti i pericoli che seguirebbero alla vittoria di una qualunque delle due parti? E’ molto semplice, e sembra impossibile che non la si sia trovata anche noi.

Né vincitori né vinti! una pace bianca e…tutti contenti! “importa, dice, che una azione pacificatrice, senza dubbio assai difficile ma non impossibile, sia intrapresa, e sia esercitata innanzi tutto sull’opinione pubblica internazionale, per portarvi nonostante tutto una testimonianza dello spirito di Cristo”.

Ah, no, e mille volte no! Ciò sarebbe lasciare infecondo il sangue di tanti martiri, tradire il sacrificio di tanti eroi, rinnegare la nostra stirpe e fare si che la Spagna ritornasse a trascinare un’esistenza vergognosa come nei tempi precedenti a questa insurrezione gloriosa, dar tregua al nemico per rifarsi e preparare meglio i suoi mezzi di combattimento, facendo si che la Spagna precipiti di abisso in abisso fino a quando fosse impossibile ogni rimedio.

Che pace può proporre o si può accettare con coloro che rifiutano di riconoscerci ogni diritto all’esistenza, con coloro che respirano soltanto odio per tutto quel che è santo, con coloro che hanno come divisa quella di cancellare dalla terra il nome di Dio, dichiarando lecito qualunque mezzo per raggiungere questo fine?

Quae convenctio lucis ad tenebras?

Il Vangelo di Cristo, tanto invocato da Maritain, è Vangelo di pace; ma non dimentichiamo che la pace fu offerta “agli uomini di buona volontà”. Quando entriamo in una casa, Gesù ci comanda di dire “la pace sia con voi”; “e se li ci fosse, aggiunge, qualche figlio della pace, la vostra pace riposerà sopra di lui, altrimenti quella pace ritornerà a voi”. Orbene, nella casa dei nostri avversari non abitano figli della pace, che è un effetto della carità, bensì i figli dell’odio, e la pace che abbiamo molte volte offerto loro prima della sollevazione non è stata accolta e perciò deve ritornare a noi per mezzo della vittoria.

E lo stesso Cristo, il Re pacifico, il Principe della pace, non esita a dichiarare: “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada”. E altrove: “Ora, chi non ce l’ha, venda la sua tunica e compri la spada”. Il signor Maritain si disinganni: non c’è alcun pericolo né per la cristianità, né per il mondo, nella vittoria dei nazionali spagnoli; il pericolo è negli imboscati di questa e quella parte, che vogliono snaturare i frutti di quella vittoria, falsificando il carattere di questa guerra ed escludendo da essa ogni elemento religioso, affinché la Spagna cristiana, qualora pensasse di avere ritrovato sé stessa, scoprisse con dolore di essere stata vittima di una frode crudele. E’ questa la trappola che Maritain e i suoi compagni di strada cercano di prepararci.

Pensando “in francese”.

Ma, già lo si vede, il pericolo temuto da Maritain, non è temuto dal filosofo cristiano, ma dal francese. E anche se ha cercato di nasconderlo, il fatto gli è sfuggito senza che se ne accorgesse. La guerra che si fa in Spagna, scrive, “minaccia gravemente il nostro paese in certe condizioni primarie della sua esistenza esteriore”.

Ah! Maritain ha paura che, con la vittoria dei nazionali, si innalzi una Spagna più forte, che sia padrona dei suoi destini, che smetta di essere un giocattolo della politica dei gallicani come è stata nell’ultimo secolo di nostra decadenza. Teme che la Spagna compia rappresaglie e cerchi di vendicare tutte le ingiurie ricevute dalla Francia. Ma io gli dico di non avere paura di queste cose, perché lo spirito cristiano che la Spagna cerca di instaurare non è vendicativo. La Spagna metterà la muraglia nei Pirenei per non lasciare passare il fiume di immoralità. di incredulità, di corruzione, che sta inondando il suolo della nostra Patria dall’invasione napoleonica.

La Spagna reclamerà i suoi diritti legittimi e non permetterà che ci si prenda gioco di essa, che la si sfrutti o la si vilipenda in futuro. La Spagna otterrà di essere la padrona assoluta dei suoi destini, senza sottomissioni esotiche, per compiere di fronte all’umanità la sua missione storica e provvidenziale come Madre di molti popoli; ma la Spagna saprà anche offrire la pace a tutti e sarà accettata da tutti quelli che sono “figli della pace”.

“Anche i rossi fanno la loro guerra santa”

Tornando al discorso sulla “guerra santa”, ci resta da vedere una cosa interessantissima dell’articolo di M. Maritain, che certamente non sarebbe capitata a un uomo distratto. Che cose strane hanno a volte questi filosofi! Infatti ora risulta che la guerra spagnola non è “santa” solo dalla parte dei senza Dio, dalla parte dei marxisti, dalla parte dei massoni. Ascoltiamo la grande rivelazione: “Può darsi, scrive Maritain, che in Spagna ogni guerra tenda a diventare una guerra santa: in questo senso la parola guerra santa non designa una certa cosa dalla natura oggettiva e determinata, ma si riferisce a una disposizione del temperamento storico di un popolo.

E cosi come il mito della Rivoluzione, inteso nel senso in cui si è sviluppato nelle scuole anarchiche e socialiste del XIX secolo, può essere visto come una trasposizione laicizzata della vecchia idea di Crociata, sarà ugualmente esatto dire che anche i miliziani rossi fanno la loro guerra santa”.

Vale a dire che a Maritain è sembrato troppo onorevole che i nazionali chiamassero la loro guerra “santa” e, non potendolo impedire, vuole che si faccia lo stesso onore ai loro avversari. Ha visto sull’altare l’immagine di San Michele e pretende che si dia lo stesso culto a colui che tiene sotto i piedi. E’ lo sforzo di rendere uguali il bianco e il nero, la giustizia e l’ingiustizia, la verità e l’errore, il bene e il male.

E siccome non si può fondare oggettivamente questa equazione, cerca di fondarla soggettivamente, nel regno della fantasia. Così, non è strano che ci giudichi tutti alla stessa stregua: quelli che fanno la guerra solo a fine di pace, e quelli che accetterebbero la pace solo per annientare meglio i loro avversari: quelli che lottano per una causa giusta e santa, e quelli che lottano per estendere il regno dell’errore e del peccato. Perché soffermarci su una cosa così dissennata?

Il patto con Belial

Ma c’è qualcosa di ancora più grave nell’articolo di M. Maritain. Persistendo nel suo proposito di stabilire la pace a tutti i costi, scrive anche: “C’è una massima evangelica a cui conviene ispirarsi per la stessa politica temporale e per salvare dalla rovina di una guerra universale quel che qui ancora sussiste sotto la cristianità storica, come fosse il germe di una nuova cristianità (nouvelle chretienté).

Quel che ci vuole per la pace nel mondo non è l’opposizione di un ideologia ad un altra, è un lavoro di intelligenza concreta che permetta agli stati e alle forze storiche di sopportarsi mutuamente nel tempo. ‘Mettiti presto d’accordo col tuo avversario mentre sei in cammino con lui’ (Mat. V,25)”. Innanzi tutto il testo che qui si cita non è completo. Eccolo qua: “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché non ti consegni alle guardie e tu non sia messo in prigione. In verità, ti dico non ne uscirai, finché non avrai pagato l’ultimo centesimo!” (Mat. V, 25,26).

Come si vede questo consiglio è dato a qualcuno che deve qualcosa e può temere di essere incarcerato perché paghi quel che deve; ma non ha alcuna applicazione al caso presente, in cui, senza dovergli nulla, l’avversario attenta in modo ostinato contro la nostra vita e non ci resta altro rimedio che la difesa. Ma non è questo quello che ci interessa nelle parole trascritte.

Quello che ci spaventa e non ci riusciamo a qualificare, e che si dica che è necessario questo accordo “per salvare dalla rovina di una guerra universale quel che qui ancora sussiste sotto la cristianità storica, come fosse il germe di una nuova cristianità”. Come? Una cristianità nuova? se ne è già sentito parlare. E quel che hanno preteso tutti gli eretici di tutti i tempi.

Un Cristo che scende a patti con Belial, per non essere condotto al Calvario; un Cristo che accetti la proposta dello spirito tentatore quando, dalla cima della montagna, gli diceva, mostrandogli tutti i regni del mondo: ‘Tutto questo sarà tuo se, prostrandoti, mi adorerai’. I germi di una cristianità…con i resti della cristianità storica! Vale a dire: la prostituzione di quella cristianità storica che si considera già caduca, al mostro materialista, per produrre l’aborto della nuova cristianità. E avremo una cristianità senza Cristo, come chi si è detto “monarchico senza re”; oppure, in modo diverso, avremo un Cristo non in croce, bensì adornato con falce e martello, o con il triangolo e il grembiule.

Voglio davvero supporre che la penna sia scappata senza pensare e senza misurare la portata delle parole lasciate scritte al nostro contestatore. La cristianità, signor Maritain, è la stessa in tutti i tempi e sarà una fino alla consumazione dei secoli. Cambieranno tutte le istituzioni umane ed essa rimarrà immutabile in una perpetua giovinezza, cercando di formarle tutte col suo spirito, ma senza cedere un metro di terreno in cambio delle seducenti promesse che continuamente le sono fatte dai figli delle tenebre.

Non posso dubitare dell’ortodossia di M. Maritain, né posso pensare che egli si proponga di trasformare la cristianità, eresia tante volte condannata, come lo era il modernismo che voleva ciò. Ma conviene tenere presente questo sproposito per giudicare la qualità di tutto l’articolo, che sembra essere stato scritto durante un attacco di sonnanbulismo.

Siamo d’accordo.

E, in verità, ho pensato che in esso non vi fosse alcuna affermazione a cui avrei potuto dare integralmente il mio consenso senza distinzioni né condizioni. Ma riconosco con piacere che mi sono sbagliato, poiché ho appena trovato una proposizione con cui sono completamente d’accordo. Ormai vicino alla fine, Maritain ci dice: “Non appartiene a uno straniero prendere posizione in una guerra civile; per fare ciò non ha né sufficienti informazioni, né esperienza diretta delle cose, né esperienza diretta delle cose, né competenza”. Molto bene! Qualche volta siamo d’accordo. Ma queste parole avrebbe dovuto stamparle all’inizio del suo articolo, e poi … punto finale e firma. Quante responsabilità avrebbe evitato se ciò gli fosse venuto in mente prima di pubblicarlo!

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