La Battaglia di Anghiari

Anghiari_Leonardo

La battaglia di Anghiari dipinta da Leonardo

(titolo redazionale)

Rubrica Vivaio (383) su Avvenire

del 30 ottobre 1990

La Chiesa, nel suo realismo, sa che l’aggressività tra gli uomini è inevitabile, che di guerre che ne saranno sempre, perché il Cristo ha sì redento il peccato ma non ne ha voluto cancellare le conseguenze. E allora, invece che baloccarsi in un utopico pacifismo che porta a maggior guai, essa  nel Medioevo si diede da fare per mettere in gabbia l’aggressività.

di Vittorio Messori

Il 29 giugno del 1440 ci fu gran battaglia ad Anghiari. Presso questa città dell’Aretino, le truppe di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, si scontrarono con quelle della Repubblica di Firenze, fiancheggiate dallo Stato Pontificio. La mischia non fu da poco: i Fiorentini schieravano 9.000 uomini, spalleggiati da 3.000 cavalieri e 500 fanti pontifici. I Milanesi avevano una forza equivalente. Quasi 25.000 uomini, dunque, per ore si scagliarono gli uni contro gli altri, comandati da due famosi condottieri: i Viscontei da Niccolò Piccinino, i Fiorentini-pontifici da Giovan Paolo Orsini. Al tramonto la rotta definitiva dei Milanesi. Una delle più grandi vittorie di Firenze che decise di celebrarsi dando l’incarico per un affresco a Palazzo Vecchio, nientedimeno che a Leonardo da Vinci: è quella sua celebre Battaglia di Anghiari della quale, purtroppo non ci sono rimasti che i cartoni.

Grande battaglia, certo, con però una singolarità: con 25.000 armati in campo per molte ore, alla fine, facendo i conti, si constatò che c’era qualche ferito, molti contusi e un solo morto. E lo sfortunato era deceduto perché il suo cavallo, inciampando, lo aveva fatto cadere di sella.

Della “gran battaglia senza caduti” parla, con ironia e disprezzo, Machiavelli: per lui è la riprova che non è possibile far seriamente la guerra con i mercenari. In effetti, ad Anghiari, tutti i “combattenti” (tra virgolette…), erano volontari arruolatisi per il soldo. E’ dunque logico che cercassero di fare il loro lavoro col maggiore fair -play possibile, stando bene attenti a non farsi male. Tiravano gran colpi, ma solo sui punti più solidi della corazza dell’avversario; o, spesso, si limitavano a gridarsi insulti a vicenda, sbracciandosi in gesta di minaccia. Quando uno era stanco, si arrendeva, consegnava le armi e raggiungeva le retrovie “nemiche”, dove tutto finiva in bevute alla reciproca salute e a quella dei potenti che pagavano lo spettacolo.

Machiavelli parla con sdegno delle “sceneggiate” come quella di Anghiari, vuole sostituire le milizie a pagamento con eserciti di popolo: gente motivata, ben addestrata non a fare spettacolo ma ad uccidere, con odio ideologico. Gente che nell’avversario non vedesse un collega, ma un nemico da mettere fuori combattimento.

Proprio ciò che la Chiesa non voleva. Quella Chiesa che, nel suo realismo, sapeva che l’aggressività tra gli uomini è inevitabile, che di guerre che ne saranno sempre, perché il Cristo ha sì redento il peccato ma non ne ha voluto cancellare le conseguenze. E allora, invece che baloccarsi in un utopico pacifismo che porta a maggior guai (la negazione della guerra – oggi lo vediamo bene – non porta alla pace, ma alla guerra senza regole, quella che si fa con ferocia ma, ipocritamente, senza neppure dichiararla), la Chiesa si diede da fare per mettere in gabbia l’aggressività.

Approfittando della sua autorità riconosciuta da tutti, il Papato medievale riuscì a imporre una serie di limiti. Alla fine (quando il Rinascimento e la Riforma mandarono purtroppo in pezzi la christianitas europea) le regole erano tali e tante che si poteva dar battaglia solo in poche ore di pochi giorni di poche settimane all’anno. Vietato guerreggiare dopo il crepuscolo, la domenica perché dies Domini, il venerdì perché giorno di penitenza, il giovedì in ricordo dell’istituzione dell’Eucarestia, vietato in Quaresima e in Avvento, anzi per tutto l’inverno, obbligo di liberare a Pasqua tutti i prigionieri che, comunque, una volta catturati, dovevano essere trattati come fratelli. Soprattutto – ed è tra i motivi della condanna cattolica di Machiavelli – niente eserciti di popolo, niente leve in massa ma solo mercenari: come ad Anghiari.

Oggi, è di particolare attualità ricordare questo. In effetti, nel dibattito sui cattolici nell’Ottocento, si dimentica (e la dimenticanza è ancora più grave, in tempi di obiezione di coscienza, di servizio civile, di protesta contro il servizio militare) che la sola Chiesa si batté, nell’era dei nazionalismi, contro la coscrizione obbligatoria, contro l’arruolamento coatto di tutti i giovani.

Sentiamo n testimone insospettabile, Giovanni Spadolini: «Pochi hanno riflettuto sulla posizione della Chiesa di fronte alla creazione degli eserciti moderni. L’atteggiamento del papato fu di assoluta opposizione. La coscrizione obbligatoria, in quanto giustifica con un principio ideale un enorme abuso della liberà personale, fu aspramente condannata anche dai Gesuiti del XIX secolo che sostenevano che “la leva forzata degli eserciti produce all’umanità un male immenso e inutile”. Nel Concilio Vaticano I del 1869-1870, ben quaranta vescovi avevano sottoscritto una proposta per condannare la leva obbligatoria e la nuova politica statale degli eserciti permanenti».

Continua il laico Spadolini: «il pensiero cattolico in materia fu sempre coerentissimo: l’istruzione militare obbligatoria, non era forse una giustificazione ideale della guerra e soprattutto della sua morale, che ripugna insanabilmente alla coscienza cristiana? Perché fare della vocazione di alcuni, di una necessità di pochi, un “dovere morale” di tutti? Le compagnie mercenarie non contraddicevano così profondamente all’insegnamento cattolico: riflettevano una dura necessità che si cercava di contenere nei limiti dell’indispensabile.

Ma il mondo moderno, creando gli eserciti regolari, non aveva forse rivendicato il valore etico della guerra, l’essenza pedagogica del militarismo?». Ancora nel 1894, Leone XIII alzava la voce contro la leva di massa che «toglie ai giovani nel fiore degli anni dalla cultura dei campi, dai buoni studi, dalle arti e li costringe alla guerra». E chiedeva: «E’ forse tale da natura la condizione del civile consorzio?». Ancora Spadolini: «La sconfessione della coscrizione obbligatoria era, per la Chiesa, nient’altro che una conseguenza diretta della condanna della statolatria, dei poteri assoluti dello stato moderno che asservisce il cittadino al suo dispotismo: ai missionari lo stato opponeva i militari, al clero regolare le forze armate, alla pace e all’amore del Vangelo le “virtù militari”».

In effetti, la coscrizione obbligatoria fu una delle novità introdotte dalla Rivoluzione Francese, con il famoso decreto sulla “nazione armata” . “Novità” che in realtà fu un ritorno all’indietro, all’epoca pagana quando la leva in massa era praticata dagli Assiri, dagli Egizi, dai Romani. La sua abolizione fu uno dei risultati della predicazione dei cristiani: i quali, troppo realisti per essere dei pacifisti, sono però chiamati ad essere pacifici. Riscoperto dai rivoluzionari parigini e poi usato in modo spietato da Napoleone, l’arruolamento coatto (per almeno cinque anni, dai 20 ai 25!) fu opposto come segno di “modernità” alla Chiesa che lo combatteva e che anche per questo fu considerata “reazionaria”. Oggi vediamo se ‘”oscurantismo” stesse davvero dalla parte cattolica. E’ tra gli aspetti da valutare, nell’attuale revisione degli schemi da manuale di storia benpensante