L’illuminismo o le radici non cristiane dell’Europa

illuminismoPubblicato su La Civiltà Cattolica n. 3727 del 1 ottobre 2005

Giandomenico Mucci sj

Alcuni anni fa, Eugenio Scalari aveva lamentato l’assenza  di razionalità nel mondo moderno e riproposto come terapia il ritorno all’Illuminismo (1). Ora è la volta di Giulio Girello che, esprimendosi in favore del sì al referendum sulla procreazione assistita e degli ogm, chiama i laicisti a raccolta per un rinnovato Illuminismo che faccia trionfare il relativismo contro ogni forma di assolutismo. E per assolutismo si intende anche «l’apparato repressivo» della Chiesa erede della Controriforma (2).

Perfino quando benedetto XVI ha presentato alla Chiesa il Compendio della Chiesa Cattolica si è voluto vedere in questo consueto esercizio  del Magistero una manifestazione di ostilità e di intolleranza e una minaccia per le sorti del pluralismo (3).

Gertrude Himmelfarb ha parlato recentemente di tre illuminismi: quello britannico, definito sociologia della virtù, non nemico pregiudizialmente della fede; quello americano, concepito come politica della libertà, alleato della religione; quello francese, ideologia della ragione considerata l’unica pura e suprema autorità (4). In questa materia, la cultura italiana moderna è chiaramente di derivazione francese.

L’illuminismo è un fenomeno complesso e multiforme. E’ controversa la sua periodizzazione, molte sono le sue differenziazioni interne, diverse le sue configurazioni locali, non facilmente collocabili al suo interno i suoi stessi maggiori personaggi. Ma quando si parla di illuminismo prevale comunemente la sua versione francese settecentesca, che ha elaborato la vulgata della raison, sebbene il pensiero del Settecento non sia tutto riconducibile alla ragione illuministica (5). Della dipendenza italiana da quella versione può essere una spia la recente polemichetta imbastita intorno a un libro di Roberto Vivarelli da una certa cultura di sinistra che pure non si è distinta in passato per fedeltà agli ideali illuministici.

Concludendo il suo saggio, il Vivarelli, professore emerito di Storia contemporanea alla Normale di Pisa, allievo prediletto di Federico Chabod e curatore delle opere di Gaetano Salvemini, sostiene che la crisi dell’Occidente, crisi di valori coesistenti col massimo sviluppo politico ed economico, nasce dallo smarrimento, a partire dall’Illuminismo, dei valori della tradizione cristiana: detto altrimenti, dal fatto che il cattolicesimo «liberale» di Erasmo è stato sostituito dal laicismo illuministico dei Voltaire.

Per Voltaire, la civiltà dell’Occidente cristiano non è intrinsecamente superiore alle civiltà dell’Oriente indiano e dell’Estremo oriente cinese. Questo relativismo culturale avrebbe, secondo il Vivarelli, disgregato la concezione cristiana dell’uomo e della storia negandole il valore di unità di misura , allineandola cioè tra le altre concezioni senza stabilire tra di loro un confronto qualitativo.

Si sarebbe spianata così la via che conduce dal libertino Voltaire al depravato de Sade sul piano etico e, su quello politico, dal Voltaire anticlericale degli illuministi al Rousseau totalitario dei giacobini. La più fiera critica all’«impostazione cristiana» del Vivarelli è firmata da Sergio Luzzatto (6)

L’ira del critico si scatena fino al dileggio contro alcune tesi del suo antico maestro. Non è vero che , dopo l’Illuminismo, sia diventato lecito tutto ciò che è possibile.

Non è vero che la dignità dell’uomo si fondi sulla concezione cristiana dell’uomo. Non è vero che l’evoluzionismo darwiniano abbia agevolato la sostituzione dell’etica del dovere con quella del piacere. Non è vero che il relativismo sia incapace di rispondere  ai problemi ultimi dell’uomo e del suo destino. Non è vero che la battaglia perduta da Pio IX contro il mondo laicista sia stata anche la sconfitta della civiltà occidentale. Insomma, non si salva quasi niente delle conclusioni del Vivarelli.

E poi, demerito massimo, «nelle pagine di Vivarelli si trovano parole identiche a quelle impiegate dal nuovo pontefice alla vigilia della sua elezione». Sono le parole che denunciano i pericoli del relativismo.

Nella polemica è entrata con toni più pacati G. Quagliariello, professore di teoria e storia dei partiti alla LUISS di Roma. Le sue osservazioni contribuiscono a mettere in rilievo l’atteggiamento metodologico e ideologico di quanti si fanno difensori e paladini dell’Illuminismo. E’ esagerato, per caratterizzare quel metodo, parlare di tracotanza intellettuale?

Che l’Illuminismo sia la radice del relativismo culturale che ha esposto l’Occidente cristiano a una evidente crisi valoriale, che esista un liberalismo ispirato  alla concezione cristiana e quindi contrapposto a quello dei Lumi (è la tesi del Vivarelli) è cosa discutibile e discussa. Ma, obietta Quagliariello a Luzzatto, non è lecito a nessuno sentirsi nato dalla parte giusta in fatto di cultura.

«Quel che non si può sopportare è che a questi temi e a questi confronti [quelli del Vivarelli] venga preventivamente tolta dignità culturale. Quasi che siano confinati in un passato vecchio di trecento anni e non rappresentino attualità scottante in America e in Europa, intorno alla quale si ridefiniscono le identitàe si giocano persino le vittorie e le sconfitte elettorali».

Quando Luzzatto getta il ridicolo sulla tesi e sugli argomenti del Vivarelli dimentica la distinzione tra liberali illuministi e liberali «tradizionalisti», che non è stata inventata oggi. La seconda corrente attraversa il pensiero politico contemporaneo e sostiene n chiaramente che il rapporto con la religione non può essere isolato nella dimensione rigorosamente privata dell’individuo.

Così hanno pensato uomini come A. de Tocqueville, A. Rosmini, J. Acton e B. Constant fino a E. Halévy, F. von Hayek e L. Einaudi. «E’ singolare però che quanti si sentono portatori di un pensiero forte riconoscano questa scissione [del liberalismo] e le ragioni degli altri, mentre i nuovi relativistica neghino, classificandola come una reviviscenza del passatismo. Non è forse questa l’ennesima  conferma che […] dietro le professioni di relativismo si cela a volte una nuova versione della presunzione fatale?» (7).

Che cosa si intende per Illuminismo

E’ nota la definizione kantiana dell’Illuminismo: «Illuminismo è l’uscita dell’uomo dalla minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio 8intelletto senza la guida di un altro» (8).

Come abbiamo detto l’Illuminismo non è un fenomeno monolitico. Esistono molti illuminismi diversi per sviluppo storico e per collocazione geografica, ma questo non impedisce che si possa parlare di Illuminismo  come di un fenomeno avente una sua specifica unità interna. Questa è costituita dall’affermazione forte di una ragione che può governare il mondo naturale e sociale partendo dal punto di vista dell’uomo.

Politicamente, ciò significa che la ragione è chiamata a distinguere tra interno ed esterno, tra pubblico e privato, per poter creare una libertà che sia anzitutto antiautoritaria sia nella vita pubblica, sia nella società, sia nel privato dell’individuo. Così descritto, rientra a pieno titolo in quel processo di modernizzazione della storia europea, che ha mirato all’affermazione della capacità di creare  un ordine razionale supportato  da soggetti liberi e autonomi (9). L’Illuminismo è l’espressione culturale della modernizzazione nella filosofia, nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nella letteratura, nella tecnica, nelle istituzioni sociali (10).

Nel modello soprattutto francese la modernizzazione progettata dall’illuminismo presenta tratti caratteristici. Le élites europee parlano francese, leggono gli stessi libri e le stesse riviste, l’Encyclopédie è il loro testo di riferimento, hanno un vero culto per Voltaire e Rousseau, seguono le stesse mode intellettuali, artistiche, di abbigliamento.

I loro ambienti sociali, sale di lettura, società scientifiche, accademie, specialmente logge massoniche, professano una religiosità antropocentrica e praticano una filantropia cosmopolitica. Gli Stati operano riforme nel campo dell’educazione, nel diritto, nell’amministrazione della giustizia, nell’economia, nell’amministrazione civile e degli eserciti, negli ordinamenti ecclesiastici.

Sono messi in atto procedimenti che toccano l’autorità primaziale del Papa, il prestigio dei vescovi e del clero, con lo scopo spesso di separare dal Papa la comunità dei vescovi e dei fedeli. Lo scontro violento con una cultura che si percepisce superiore a qualsiasi tipo di credenza genererà per reazione il rifiuto della raison in quanto limitazione del pericolo per la trascendenza (11).

La violenza della lotta e le ingiustizie inferte in nome della ragione e della libertà alla parte cattolica fanno si che questa non avverta subito i benefici provenienti dall’uso critico della ragione, dal superamento dei regimi aristocratici fondati sul privilegio di pochi, dall’abolizione della tortura, dalla diffusione della libertà di stampa, dalla dottrina della tolleranza (12). La Chiesa non poteva guardare con benevolenza a una cultura che voleva per principio opporsi a ogni verità religiosa.

Illuminismo e religione

«Una risposta abbastanza ovvia alla domanda relativa al rapporto tra Illuminismo e critica della religione recita che “L’Illuminismo è la critica della religione”, che “ le due cose sono essenzialmente la stessa “» (13). E’ una tesi già sostenuta da Hegel e Marx. La stretta connessione tra Illuminismo e critica della religione è sostenuta anche da Max Weber quando ammette che i processi di razionalizzazione  della modernità hanno avuto come  risultato il ritiro dei valori ultimi  della sfera pubblica nella vita mistica e nelle relazioni umane degli individui.

La religione non è stata soppressa ma confinata nel privato, il culto pubblico di Dio è stato sostituito dal culto per l’uomo. In questi termini, l’Illuminismo ha agito all’interno stesso della religione. La soggettivizzazione della religione comporta illuministicamente la distinzione tra religione cosiddetta vera, che è questione tutta interiore all’individuo, e l’esercizio esterno dei dogmi, dei riti, dei costumi. Una distinzione rivolta criticamente contro la tradizione cristiana (14).

Appare pretestuoso ai cattolici lo sforzo tentato anche recentemente di legittimare i postulati dell’Illuminismo con la lettura della storia biblica fatta con le lenti di quegli stessi postulati già previamente accettati come veri mentre li si vuole dimostrare come tali distorcendo la teologia cristiana. Ne diamo un esempio. «Ciò che si può definire l’”uscita dalla minorità” era già contenuto fin dall’inizio nel giudaismo, e certamente anche nel cristianesimo, che sono entrambi religioni della promessa di libertà.

La liberazione dalla schiavitù in Egitto e la promessa di un futuro messianico in pace e libertà sono l’alfa e l’omega del giudaismo; ai cristiani viene invece promessa la liberazione dal fardello della legge e dal potere del peccato e della morte. Per libertà si intendeva sempre, nell’uno come nell’altro caso, anche la libertà dell’individuo, e non solo quella di un insieme collettivo la cui religiosità sarebbe rappresentata dal ceto sacerdotale e dai suoi riti: la Bibbia sottolinea sempre che Dio “vede il cuore” di ogni singolo uomo, cosicché la tradizione giudaico-cristiana conduce non soltanto all’interiorizzazione, ma anche all’individualizzazione della religione. Soprattutto nel cristianesimo ciò ha significato un conflitto  permanente tra le pretese della devozione personale e le conseguenze dell’inevitabile istituzionalizzazione  dell’elemento cristiano  in una chiesa ufficiale  e nella sua dogmatica. Questo conflitto è diventato esso stesso motore dell’Illuminismo occidentale» (15).

In realtà, non c’è Illuminismo che, al di là degli inchini fatti per convenienza alla religione, non tenga che la ragione «maggiorenne» è giudice dei contenuti della fede e in tanto li può accettare in quanto sono conciliabili con essa. Non aveva detto Kant che la «stima universale la ragione può darla solo a ciò che si sia rivelato in grado di resistere al suo libero e pubblico vaglio»? (16).

Un testo che uno storico della filosofia commenta così: «L’epoca dell’Illuminismo ha inizio e prosegue là dove si desta la critica, non come critica meschina o denigrazione di ciò che non ci piace, ma come “libero e pubblico esame” con gli strumenti della ragione di ciò che esiste e di ciò che viene ritenuto valido. L’Illuminismo ha luogo dove gli uomini si dedicano a questo progetto, ma soltanto se questa critica contiene anche l’autocritica.

Il carattere autoreferenziale della critica razionale è stato espresso da Kant nel celebre doppio significato del titolo Critica della ragion pura, inteso come genitivo soggettivo e come genitivo oggettivo» (17). Si è potuto perciò dire che l’Illuminismo ha ottenuto risultati all’interno del dominio stesso della religione, da un lato facendone un fatto meramente soggettivo e privato, dall’altro riducendola a un fenomeno interessante quanto lo è qualsiasi fenomeno (18).

L’illuminismo oggi

Oggi l’Illuminismo non gode di buona fama. Lo ammettono persino i suoi simpatizzanti che non demordono. Uno di loro scrive: «La situazione odierna, nei suoi più diversi aspetti, induce allo sconforto, e senza dubbio l’Illuminismo appare inattuale: un ferrovecchio, come qualcuno ha sentenziato. Ma esso va recuperato proprio per la sua inattualità, ed è paradossalmente proprio la sua inattualità a costituirlo in ciò che potremmo chiamare modernità inattuale. Se ci si sbarazza del patrimonio illuministico, a quale patrimonio dovremmo appigliarci?» (19). Sono le idee di Eugenio Scalfari. Altri hanno costatato la mutazione radicale del contesto storico e sociale nel quale l’Illuminismo è sorto e l’attuale  non vitalità della sua stessa critica alla religione e al cristianesimo (20). Su quest’ultimo punto si ha l’impressione che convengano recenti ricerche sociologiche (21).

Alla desolazione dell’Illuminismo sembra abbiano contribuito le sfide del multiculturalismo. Anche se per ipotesi le si potesse affrontare con gli strumenti tipici della tradizione illuministica, sta di fatto che esse attivano reazioni intellettuali e politiche finalizzate al recupero conflittuale delle radici culturali, cioè identitarie, del gruppo. L’universalismo a livello internazionale si è affermato negli aspetti esteriori della razionalità illuministica, ossia le tecniche e le forme economiche, ma le sue radici etico-politiche, cioè la libertà individuale e sociale e la democrazia, rischiano di rimanere elemento dello spazio politico dell’Occidente, anche se minacciate in questa stessa loro terra d’origine.

Le grandi culture dell’Islam  e dell’Estremo Oriente non accettano tutta l’eredità illuministica vista come cosa troppo occidentale e comunque estranea alle loro politiche particolaristiche. Il mondo è globalizzato ma non universalizzato (22). In Occidente poi c’è chi, come Richard Rorty, vuole manifestarsi fedele ai valori centrali dell’Illuminismo quali la libertà individuale e la tolleranza, ma dispera di poterli giustificare in sede filosofica.

Quei valori valgono perché «è andata così, ma sarebbe potuta andare diversamente: tutto qui». Per quanto riguarda la società occidentale, ampiamente modellata dai valori dell’Illuminismo, «ci viviamo semplicemente meglio che in altre società, qua e là per il mondo, che sono modellate da altri valori» (23). Sono valori ancora utili semplicemente perché la loro perdita comporterebbe maggiori mali e costi nella vita politica e sociale.

Che cosa resta dell’Illuminismo? Le condizioni storiche che hanno favorito l’Illuminismo classico non esistono più. Tutto è cambiato o si è trasformato nel mondo contemporaneo . Oggi la società dominata dalla tecnologia non attende affatto una liberazione che, partendo dalla ragione, giunga ai consumi. Sono piuttosto i consumi che fanno cambiare le credenze tradizionali o le nullificano nella pratica.

Resta «un po’ di razionalismo generico e devoto, privo di legami significativi con la conoscenza scientifica e attento a evitare tutto ciò che potrebbe essere imbarazzante per la religione», sicché «più che risuscitare l’Illuminismo oggi conviene smontare il miraggio dell’Illuminismo costruito dagli antilluministi, mostrando i luoghi comuni che esso contiene» (24).

Ma tuttavia, a sentire i simpatizzanti nostalgici dell’Illuminismo, c’è ancora qualcosa da fare per loro mezzo. «Le ideologie sono oggi in ribasso, ma le religioni sembrano aver preso il loro posto». Spetta agli eredi dell’Illuminismo quell’«arte dell’osservazione disincantata che aiuta a capire le cose che accadono senza che nessuno le voglia, mentre non accadono quelle che tutti vogliono […].

Gli illuministi hanno mostrato le falsità e le imposture delle quali sono pieni i testi fondamentali delle religioni, libri tutt’altro che buoni e attendibili». Senonché «i falsi prodotti delle religioni sono finiti nelle credenze private, dove le opzioni religiose, come quelle filosofiche e politiche, hanno potuto svilupparsi con maggiore ricchezza, proprio per il loro carattere arbitrario». La distinzione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, essenziale nella nostra società, ha bisogno dell’«opera di dissacrazione degli illuministi», perché sta correndo notevoli pericoli.

La contestano quelli che vivono in società che non la praticano, quelli che professano religioni che la respingono, quelli che aderiscono a ideologie totalizzanti, Persino Habermas «ha sostenuto che questa distinzione va riveduta e che le credenze religiose hanno il diritto di uscire dalla sfera privata». A quali sofferenze è oggi esposto l’«osservatore illuminato» (25)!

L’osservatore cattolico

Contrariamente a quanto mostrano di credere gli studioso finora citati, i cattolici non pensano che l’Illuminismo sia ormai in tutto e per tutto ferrovecchio. Oggi, quando si nega alla ragione la capacità di stabilire i fini ultimi dell’esistenza umana, quando la si è ridotta a puro strumento, restano pur sempre i professori universitari che le assegnano lo scopo di perpetuare l’unica possibile attività coordinatrice (26).

Questa poggia su due saldi fondamenti: Dio nient’altro è che la stessa razionalità umana nella proiezione indefinita del suo sviluppo; la religione o è semplicemente negata o è abbassata e subordinata alla religione moralistica naturale che esclude ogni rivelazione. Tutto è ridotto ad antropologia, all’uomo, che Kant disse der wichtigste Gegenstand (l’oggetto più importante) di ogni ricerca nel campo della natura. Da questo punto di vista deve dirsi che è ben vival’eredità dell’Illuminismo, cioè di «una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità» (27).

«Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà», secondo il principio che la capacità dell’uomo è la misura del suo agire. Essa si fonda «su una autolimitazione della ragione positiva, che è adeguata  nell’ambito tecnico, ma che, laddove viene generalizzata, comporta invece una mutilazione dell’uomo. Ne consegue che l’uomo non ammette più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli e che il concetto di libertà, che a tutta prima potrebbe sembrare espandersi in modo illimitato, alla fine porta  all’autodistruzione della libertà […]. Queste filosofie, nonostante sembrino totalmente razionali, non sono la voce della ragione stessa, ma sono anch’esse vincolate culturalmente alla situazione dell’Occidente di oggi» (28).

A questo proposito è opportuno sottolineare la diversità di trattamento che gli eredi dell’Illuminismo riservano ai loro padri del Settecento e al cristianesimo proprio quando esortano all’approccio rigorosamente storico delle religioni.

Queste sono sempre presentate come scisse tra gli ideali che professano e le concrete manifestazioni storiche purtroppo non sempre pari a quegli ideali. Invece, «i principi dell’89 vengono proiettati in una sorta di iperuranio in cui brillano vergini e puri […]. E’ il caso di far presente che nel breve giro di un ventennio l’affermazione dei principi di libertà, uguaglianza, fraternità ha cosparso la Francia e poi l’Europa di un numero di cadaveri che fa concorrenza alle vittime delle guerre di religione […]? Che poi i principi dell’89 siano nati “contro” le Chiese è vero, meno vero che siano nati “fuori” dalle Chiese, dato che queste credevano in quegli stessi principi  religiosi da cui – Croce insegna – sono germinate le idee “laiche” di libertà, eguaglianza e fraternità» (29).

E’, in fondo, un aspetto della «sindrome omissiva» della quale ha scritto Pierluigi Battista. I laicisti parlano di tutto, ma insistono nel ritenere che «ciò che nell’Occidente, nella libertà, nella democrazia può essere ricondotto alla sua matrice “cristiana” deve essere separato dalle radici da cui pure è scaturito, sospeso in un limbo di astoricità in cui si possa fare a meno di cimentarsi con il problema cruciale all’ identità» (30).

A nostro parere, non ha torto Roberto Vivarelli quando stabilisce un legame tra la mentalità illuministica e il relativismo che odia l’idea di qualsiasi verità solida e immutabile. Sorvoliamo sulla sopravvivenza negli eredi dell’Illuminismo  dello stile di Voltaire e Diderot che solevano offendere testi, dottrine e uomini di Chiesa con un misto di ignoranza e di saccenza. Si è giunti al punto che i laicisti interloquiscono con la Chiesa sul grado di autentica santità dei santi (31)! Che non sia un sintomo della coscienza della loro debolezza (32)?

E pur tuttavia stupisce, in uomini di elevata cultura, l’ostinazione a ripetere oggi acriticamente luoghi comuni della polemica antireligiosa settecentesca, la tendenza non si sa quanto voluta a confondere il cristianesimo con tutte le altre religioni e con quello che oggi si dice fondamentalismo. Prendiamo a esempio un articolo di Remo Bodei (33).

L’illustre filosofo ammette che «per centinaia di milioni di uomini e di donne la ricerca primaria del senso non si orienta più in misura sufficiente sulla prospettiva politica» e che «possono mostrarsi nel pensiero laico i sintomi di un malessere dovuto alla percezione che la storia sia sfuggita di mano alla progettualità umana e che il razionalismo in tutte le sue forme (scientifiche, filosofiche, tecniche, etiche) non sia capace di tenere sotto controllo le sorti dei popoli».

Riconosce altresì che «le chiese, per contro, aprono squarci d’incondizionata speranza, polarizzando le attese verso il futuro riscatto di questo mondo  ancora colmo di ingiustizia e di questa umanità sofferente, irredenta e ignota a se stessa». Ma soggiunge che «le esigenze ideali e pratiche spingono gli uomini verso il trascendente» e  «il laico rifiuta la diserzione di questo mondo e mantiene il suo atteggiamento nel resistere alla seduzione dei dogmi, miti o ideologie utilizzati come riempitivi di quei vuoti inevitabilmente lasciati da ogni sforzo di comprensione  e di dominio della realtà […]. Conscio del fatto che ogni esperienza può essere oggetto di rigorosa dimostrazione logica, non è però disposto né a lasciarne la spiegazione all’autorità e ai dogmi né al preliminare sacrificio dell’intelletto».

Dopo la teologia del Novecento, dopo il Vaticano II, dopo la Fides et ratio si continua a ripetere che gli uomini aspirano al trascendente per necessità ideali e pratiche, che questa aspirazione comporterebbe la diserzione da questo mondo, che la Chiesa vuole il sacrificio dell’intelletto! Torna naturalmente alla mente Voltaire del Dictionnaire philosophique che alla voce Foi sosteneva che l’unica facoltà che può dare origine alla credenza è l’intelletto, ma gli oggetti della fede non sono gli oggetti dell’intelletto.

E alla voce Athéisme, Athée ribadiva che si Dieu n’existant pas, il faudrait l’inventer, ma affermava contemporaneamente che l’ateo nell’errore conserva la ragione mentre il non ateo è affetto da stabile follia. Ma anche l’osservatore cattolico conosce una sua ostinazione, quella che lo conduce a sperare che dialogo e confronto avviino infine credenti e illuministi sulla via di una cultura senza omissioni e senza integralismi (34).

Note

1) Cfr E. Scalfari «Il nostro secolo senza Lumi», in Attualità dell’Illuminismo, Roma-bari laterza, 2001, 7.

2) Cfr P. Panza, «Per il filosofo laico anche Dio è relativista», in Corriere della Sera, 24 giugno 2005, 35.
3) Cfr P. Battista, «Il Catechismo e le paure dei laici», ivi, 2 luglio 2005, 1
4) Cfr G. Himmelfarb, The Roads to Modernity. The British, French and American Enlightments, new York, Vintage, 2005; R Newbury, «Illuminismo. Francesi, giù le mani», in La Stampa, 30 giugno 2005, 25.
5) Cfr L. Guerci, «La lezione dell’Illuminismo», in Rivista di filosofia 96 (2005) 143 s.
6) Cfr R Vivarelli I caratteei dell’età contemporanea, Bologna, il Mulino, 2005; S. Luzzatto, «L’illuminismo sul banco degli imputati» in Corriere della Sera, 11 maggio 2005, 35.
7) G. Quagliariello, «La presunzione fatale dei nuovi relativisti», ivi, 14 maggio 2005, 37.
8) I. Kant, Beantwortung der Frange: Was ist Aufklärung?, Bd VIII, Berlin Akademie-Ausgabe, 1902 ss, 35; ID, Scritti di storia, politica e diritto, Roma-Vbari, Laterza, 1995, 45.
9) Cfr C. Galli «Sull’anti-illuminismo», in Rivista di filosofia, cit. 131.
10) Cfr K. Pomian, «Illuminismo e illuminismi», ivi, 23.
11) Cfr ivi, 21-23.
12) Cfr L. Guerci, «La lezione dell’Illuminismo», cit. 145-150.
13) YH. Schnadelbach, «l’Illuminismo e la critica della religione», in Rivista di filosofia, cit, 65.
14) Cfr ivi, 68 e 73.
15) Ivi, 83 s.
16) I Kant, Kritik der reinen Vernunft, Bd IV, Berlin Akademie-Ausgabe, 1902 ss, XI, nota; ID, Critica della ragion pura, Torino, UTET, 1967, 65.
17) H. Schnädelbach, «L’Illuminismo e la critica della religione», cit. 80.
18) Cfr ivi, 74.
19) L. Guerci, «La lezione dell’Illuminismo», cit. 151.
20) Cfr K Pomian, «Illuminismo e illuminismi», cit. 26-29; H. Schnädelbach, «L’Illuminismo e la critica della religione», cit. 88 s.
21) Cfr Aldridge, La religione nel mondo contemporaneo. Una prospettiva sociologica Bologna, ll Mulino, 2005, 15-21; 129-133; 283-287.
22) Cfr C. Galli, «Sull’anti-illuminismo», cit. 140 s
23) S. Veca, «Un’eredità da accettare», in Rivista di filosofia 96 (2005) 156 s; 161-163.
24) C.A. Viano «L’Illuminismo tra risurrezioni e miraggi», ivi, 115-117.
25) Ivi, 118-120.
26) Cfr M Horkheimer, Eclisse della ragione, Torino, Eiunaudi, 2003, 83.
27) J. Ratzinger, «Anche l’Europa ha il suo pensiero unico », in Avvenire, 3 aprile 2005, 27.
28) Ivi.
29) G. Piaia, «Radici cristiane e identità europea: nichilluminismo?», in Rivista di storia della filosofia 60 (2005) 141.
30) P. Battista «Papa Benedetto XVI e il tabù anticristiano», in Corriere della Sera, 9 luglio 2005, 1 e 12 Cfr E Rocceòlla – L. Scaraffia, Contro il cristianesimo. L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia, Casal Monferrato (AL), Piemme, 2005.
31) Cfr nota 3; P. crocchi, «Le trombe di Scalari e Rodotà», in Avvenire, 9 novembre 2004, 2; P. Granzotto, «Flores d’Arcais, la Chiesa e la democrazia», in il Giornale, 7 maggio 2005, 42.
32) Cfr E. Castagna, «Quando il laico è senza risposta», in Avvenire 8 luglio 2005, 30.
33) Cfr R Bodei, «La ragione, primo valore», in ll Sole 24 Ore, 24 aprile 2005, 33.
34) Cfr D Rondoni «E adesso la cultura laica scopre i cristiani nel mirino», in Avvenire, 10 luglio 2005, 23