Novecento: il tempo dei miti

tratto da Linea Tempo, settembre 1997, p. 59-62

di Massimo Borghesi

Per comprendere le premesse culturali della riforma dei programmi di storia, occorre considerare quale sia l’idea del Novecento su cui essa si basa. Privilegiare la storia del Novecento significa infatti spesso comprenderla a partire da una certa vulgata ormai talmente diffusa nei manuali da risultare difficilmente discutibile.

Una vulgata che, per punti, può essere sintetizzata così: la Prima guerra mondiale rappresenta la fine del vecchio mondo, la Rivoluzione di ottobre in Russia l’inizio del mondo nuovo, i fascismi costituiscono successivamente l’ultimo sussulto del mondo vecchio, infine la Resistenza ed il 1945 vengono equiparati all’inizio della vittoria conclusiva della democrazia.

Questa ricostruzione storiografica, divenuta a tal punto comune da apparire ovvia, ha le sue scuole tanto nell’ideologia comunista quanto nell’orientamento azionista, mentre il contributo dei cattolici è soltanto marginale. Nella prospettiva marxista ed azionista il Novecento diventa allora il secolo della democrazia che combatte contro il male, contro la reazione intesa come male assoluto.

Si instaura quindi una visione manichea della storia contemporanea, fra progresso e reazione, e qui sta il significato etico-politico della storia contemporanea, perché la presenza del male, del nemico assoluto deve attivare la coscienza morale. Questa interpretazione confina i fascismi nella sfera dell’irrazionale e della malafede: essi non sono intelligibili ma, rappresentando le forze oscure che vengono dal passato, non possono essere oggetto di storiografia vera e propria.

Tuttavia, dalla reinterpretazione dei fascismi, reinterpretazione che non è affatto giustificazione, parte una diversa rilettura del Novecento, che in esso vede il tempo dei miti. Potremmo trovare appunto nel mito la categoria che permette di unificare una parte, quella sostanziale, del Novecento. Quando parlo di miti, ho presente una citazione di Renzo De Felice, il grande storico del fascismo: “Solo grazie ad una storiografia capace di dare razionalità all’irrazionale, sarà possibile capire veramente le vicende storiche, e soprattutto quelle degli ultimi due secoli, contrariamente a quello che in genere crediamo, i più irrazionali e mitici forse di tutta la storia”.

Un quadro del genere configura quindi il Novecento non più come un periodo storico di grandi avanzate, ma come un periodo tormentato e tortuoso, in cui proprio l’elemento irrazionale e dell’immaginazione gioca ruoli nefasti e terribili.

Il Novecento come tempo dei miti e delle ideologie implica però, ed è un altro punto in cui consento con Galli Della Loggia, la necessità di prendere sul serio la categoria della secolarizzazione: il nostro secolo non può essere adeguatamente compreso se non collocandolo all’interno di quella che il filosofo Augusto Del Noce chiama “epoca della secolarizzazione”, se non studiandone gli avvenimenti in rapporto con gli avvenimenti ed il pensiero dell’Ottocento, perché nell’Ottocento prende forma il progetto di secolarizzazione.

Non si può quindi intendere il Novecento senza Marx o senza Nietzsche, autori che nell’Ottocento elaborano le idee che nel nostro secolo verranno messe in pratica. L’era della secolarizzazione è l’era della religione civile, secondo quanto il grande storico tedesco George Mosse ha messo in luce nel suo libro La nazionalizzazione delle masse, un libro che indaga sui progressi di una nuova religione laica.

La politica del Novecento risulta incomprensibile se non si capisce che essa riveste anche il ruolo di una religione laica, se non si intende che prende la forma di un’estetica della politica, e diventa così una politica ben diversa da quella a cui si era precedentemente abituati.

Questa politica che divinizza se stessa ha attuato nella Rivoluzione francese il suo primo esperimento moderno, quella rivoluzione è l’inizio della concezione moderna della politica e della religione civile, ed in questo senso conserva la sua validità il testo di Talmon, Le origini della democrazia totalitaria. Nella prospettiva di Mosse, fascismo europeo e comunismo sono quindi espressioni di una nuova politica, nel senso che sono comprensibili all’interno di un processo storico e spirituale che li precede, iniziato circa un secolo prima.

La nuova politica dei totalitarismi lascia impacciato il liberale classico, che non riesce né a comprenderla né ad affrontarla: se infatti si intende, con il liberalismo classico, la modernità come un cammino lineare verso il sistema parlamentare, verso la democrazia liberale, ci si ritrova poi con il bubbone della malattia totalitaria, di cui non si riesce a spiegare la genesi.

Da qui la necessità di usare categorie religiose per spiegare un fenomeno come il totalitarismo, che non è semplicemente politico, ma transpolitico. Giungiamo così a considerare i limiti di un’altra lettura storica, che pure ha dei grandi meriti, quella che Ernst Nolte avanzò a partire dalla sua opera principale, Il fascismo nella sua epoca, del 1966.

Quest’opera ha per oggetto non la tradizione tedesca, ma la tradizione controrivoluzionaria: Nolte interpreta infatti i fascismi come espressione della cultura controrivoluzionaria, e quindi ritiene che essi costituiscano una reazione alla Rivoluzione russa. Con questa particolare lettura del fascismo europeo, Nolte è però lontano sia da Augusto Del Noce che da Renzo De Felice e François Furet, i quali invece pensano che il fascismo europeo non sia semplicemente un movimento controrivoluzionario, ma una mobilitazione che rafforza la destra europea attraverso la rivoluzione, una rivoluzione, ovviamente, diversa da quella della sinistra.

Se il fascismo come reazione dipende dal comunismo, nel senso che i fascismi, questa la tesi di Nolte, si diffusero nel nostro continente come reazione alla rivoluzione, sembra che il fascismo europeo sia giustificato. Ma se, al contrario, noi intendiamo che la storia del Novecento affonda le sue radici nell’Ottocento, allora il radicamento nella cultura europea delle premesse dei movimenti fascisti precede quello del bolscevismo, e dopo la Prima guerra mondiale, in condizioni particolari, ed a causa di sollecitazioni nuove, da questo humus profondo si sviluppano le rivoluzioni fasciste.

Più adeguata appare invece la posizione di Furet, che considera fascismo e comunismo due possibili figure della democrazia moderna, due figure in cui si gioca il dramma della democrazia moderna. Nolte ha comunque il merito di ricondurre i movimenti di destra alla loro genesi ideale, con una visione transpolitica, che ha poi trovato nell’idea di Del Noce sull’epoca della secolarizzazione la sua categoria più adeguata: per questo De Felice nel suo libro sulle interpretazioni del fascismo gli riconosce di aver compreso la storia contemporanea a partire dal concetto di secolarizzazione.

Qualcosa di simile sostiene anche Furet, rilevando come il Novecento sia comprensibile a partire dal mutarsi delle ideologie in religioni secolari. Nella storia del Novecento, non ci troviamo infatti di fronte a delle semplici dittature, bensì a dei «totalitarismi» (perfetti quello nazista e quello comunista, imperfetto quello fascista) che, per la loro dimensione religiosa, implicano un affidamento totale del singolo alla sfera politica e la tramutano in oggetto di culto.

Il fatto che la storia del Novecento sia guidata da ideologie che assumono il ruolo di religioni secolari induce poi a rendere oggetto di indagine anche la «storia immaginaria», quell’ordine ideale perfetto che i soggetti storici erano intenzionati a tradurre nella realtà.

Ancora una volta questa dinamica del nostro secolo viene anticipata dalla Rivoluzione francese: François Furet, nei saggi raccolti nella Critica della Rivoluzione francese, rilegge la storia effettiva alla luce della storia immaginaria, alla luce di quel che i rivoluzionari pensavano di dover realizzare, di quel mondo immaginato come perfetto che con la rivoluzione doveva trasformare radicalmente la realtà. La storia immaginaria precede e determina, quindi, la storia reale ed i fenomeni storici trascendono l’insieme delle loro cause materialmente ed empiricamente constatabili.

Così è stato per la Rivoluzione francese, ma lo stesso potrebbe dirsi della Prima guerra mondiale, che scoppia a seguito di un insieme di fattori osservabili, non sufficienti, però, per determinare necessariamente il conflitto e per renderlo quello che poi è stato. Da questo punto di vista, l’ossessione dei manuali di enumerare le cause, quasi che un fenomeno fosse esaurientemente spiegato quando se ne esaminano le cause, è riduttiva, perché spesso non riconosce la grande valenza che nel nostro secolo va attribuita alla forza di quella che ho chiamato prima storia immaginaria, e che deriva dalla valenza religiosa della politica.

Nella prospettiva ideologica del Novecento, la politica segna poi la distinzione tra bene e male, essa è il campo in cui si definisce il nemico e l’amico, chi è buono e chi è cattivo. Se la storia, quindi, nel Novecento è dominata dalla politica, la politica è dominata da quella che Furet e Mosse definiscono una nuova mitologia. La politica moderna, quindi, tende a farsi totale, ed in ciò ad assumere carattere religioso: per questo nell’enciclica Mit brennender Sorge (Con viva ansia), nel 1937 Pio XI condanna il nazismo in quanto nuovo paganesimo, nuova religione, cioè, alternativa a quella cristiana.

Per concludere con Furet, lo storico francese nel libro Il passato di un’illusione afferma che i due avvenimenti salienti per comprendere il mondo contemporaneo sono la Rivoluzione francese, che di questo mondo costituisce l’inizio, e la Prima guerra mondiale, che dentro il Novecento riapre la possibilità della rivoluzione.

Note:

1) Augusto Del Noce (1910-1989) filosofo italiano, individuò nella filosofia moderna la compresenza di due filoni opposti, l’uno che sarebbe risultato perdente, religioso, l’altro, destinato invece a prevalere ed a “farsi mondo”, ateistico. Nell’opera del 1964 Il problema dell’ateismo, Del Noce sostiene che il marxismo rappresenta, da questo punto di vista, il realizzatore della filosofia moderna. Ne L’epoca della secolarizzazione (1970), Del Noce aggiunge che anche la società opulenta, il modello di vita, cioè, dell’Occidente, realizza una totale indipendenza dell’uomo dal divino e finisce perciò, da questo punto di vista, per convergere con il marxismo, dal quale però si discosta perché lascia cadere l’istanza rivoluzionaria di riscatto collettivo e quindi una sorta di religiosità laica, connaturata invece all’ideologia marxista.[n.d.r.]

2) Jacob Talmon, studioso polacco di origine ebrea, pubblicò nel 1952 Le origini della democrazia totalitaria (trad. it. Bologna, Il Mulino 1967), in cui, esaminando la Rivoluzione francese, dimostrò che personaggi come Maximilien Robespierre, leader giacobino, e Gracco Babeuf, ideologo della «congiura degli eguali» di orientamento comunista, prefiguravano nel Settecento quella democrazia totalitaria destinata poi ad affermarsi nel XX secolo. [n.d.r.]