Il massacro degli armeni

Millenovecento n.10 agosto 2003

di Mirella Galletti

I prodromi dei massacri degli armeni si devono ricercare nei mutamenti del quadro politico internazionale durante il XIX secolo. Fino ad allora i viaggiatori europei riportavano che il popolo armeno era considerato “Millet-i Sadica” (La comunità fedele), ma l’indebolimento dell’impero ottomano cambiò radicalmente la situazione.

 

Il problema armeno esplose  nel XIX secolo, quando l’espansione russa  nel Caucaso e nei Balcani cambiò la storia degli armeni, come degli altri popoli della regione. Al termine di tre decenni di continue guerre contro l’impero persiano e quello ottomano la Russia annetté l’Armenia orientale: il Karabag (trattato di Gulistan, 1813), Erevan e Nakhicevan (1828), le regioni di Kars e Ardhan (1877-1878).

La frontiera con l’Iran fu stabilita nel 1828, quella con l’impero ottomano restò contesa fino al XX secolo. La Russia ottenne , nelle clausole incluse nei trattati,  che gli armeni sudditi persiani e ottomani fossero autorizzati a emigrare nelle province incluse nell’impero zarista, che spesso erano state in precedenza terre armene abbandonate nel corso delle guerre ottomano-persiane. Circa 150 mila armeni dell’Iran  settentrionale e dell’Anatolia orientale si trasferirono in queste regioni, dando vita alla formazione di un nuovo polo di presenza armena.

Nella provincia di Erevan erano circa 20 mila nel 1827 e salirono a 700 mila alla fine del secolo.Alla vigilia della prima guerra mondiale la comunità armena in Russia contava  1,8 milioni di membri (1).

Questo periodo è anche il tempo di rapide trasformazioni sociali. Mentre la vecchia aristocrazia, la classe degli amirà (titolo nobiliare ottomano), raggiunse il culmine di prosperità nella prima metà dell’ottocento  per poi iniziare la parabola discendente, emersero nuove classi di mercanti, professionisti, artigiani come gli orefici, e soprattutto una nuova classe di intellettuali. Di questi molti avevano frequentato le università occidentali ed erano spesso in conflitto ideologico o di interessi con gli amirà e i loro circoli.

L’impatto politico e culturale  con l’Armenia russa da un lato, e le nuove idee nazionaliste e liberali provenienti dall’Europa dall’altro, influenzarono  profondamente gli armeni ottomani, soprattutto la nascente classe media, e stimolarono la crescita e stimolarono la crescita di un attivo movimento nazionalista armeno. Ma gli ottomani consideravano il movimento armeno come una minaccia mortale per l’impero. Si potevano abbandonare i territori europei, ma la rinuncia all’Armenia avrebbe comportato non solo la mutilazione, ma la dissoluzione dell’impero, in quanto la regione contesa si stende dal Caucaso al mar Mediterraneo, nel cuore dell’area turca.

CON IL DECLINO DELL’IMPERO OTTOMANO, le condizioni si deteriorarono divenendo sempre più oppressive. la crescita demografica, le ondate successive di profughi musulmani (ceceni, lazi, circassi e altri) provenienti da Crimea, Balcani, Caucaso, la sedentarizzazione dei nomadi (curdi, circassi, ecc.) modificarono i rapporti tra le popolazioni, accentuarono la pressione sulla terra e moltiplicarono i problemi connessi alle proprietà terriere. Si aggravò così la situazione della popolazione armena, in grande maggioranza contadina.

giovani turchiCon la diffusione del modello dello stato-nazione, l’incrociarsi di popoli verso alcuni “santuari” modificò in profondità, a detrimento degli armeni, la carta etnica, i rapporti di forza, i modelli di coabitazione, la percezione dell’altro. Di fatto gli armeni, che all’inizio del XIX secolo si identificavano come una comunità religiosa, accolsero come liberatori le truppe zariste che talora erano condotte da generali armeni come Matatov o Lazarev. L’espansione russa concorse ad alimentare nuove speranze tra gli armeni, che a più riprese sollecitarono l’intervento russo nella speranza della formazione di un reame armeno sotto la protezione di San Pietroburgo.

Volontari armeni affiancarono l’esercito zarista nelle guerre russo-ottomane. All’indomani della guerra russo-ottomana, nel trattato di Santo Stefano (1877) l’art.16 previde nelle regioni  armene una serie di riforme garantite dai russi. Ma il trattato di Berlino (1878), in seguito a un rovesciamento delle alleanze, rese meno pesanti gli obblighi della Turchia e affidò alla Gran Bretagna la sorveglianza sull’approvazione delle riforme, le quali rimasero tuttavia lettera morta (2).

IL CONGRESSO DI BERLINO segnò quindi l’ingresso ufficiale della questione armena nella diplomazia internazionale moderna. venne imposta per la prima volta l’internazionalizzazione della questione armena come elemento della questione d’oriente. Come condizione si degradarono le condizioni di vita degli armeni rimasti in Anatolia, poiché gli ottomani li consideravano agenti della potenza russa. Il sultano Abdül Hamid II promosse una politica di popolamento curdo delle regioni a maggioranza armena per modificare i rapporti etnici. L’impatto politico e culturale con l’Armenia russa, che godeva di una certa autonomia, e le nuove idee nazionaliste provenienti dall’Europa stimolarono lo sviluppo del movimento armeno.

Gli armeni furono così considerati una quinta colonna all’interno dell’impero e vennero decimati nell’arco di un ventennio. I massacri del 1894-96 provocarono 300 mila vittime, quelli di Adana nel 1909 circa 30 mila. Il sultano Abdül Hamid II cercò di contrastare il nazionalismo armeno strumentalizzando i curdi, che rivendicavano aree in comune con gli armeni, e a questo fine istituì l’Hamidiye, la cavalleria curda.

Avvennero massacri nel Kurdistan e anche a Istambul nel 1894-96. Questo massacro degli armeni determinò l’intervento europeo e russo in favore dei cristiani e l’impero ottomano fu costretto a promulgare nel 1895 una legge di riforme per migliorare le condizioni della popolazione armena. veniva impedita la liberaà di movimento delle tribù nomadi curde in Armenia e l’Hamidiye fu disarmata. Anche se le leggi non vennero interamente applicate, ebbero una profonda eco tra i curdi, i quali temevano sempre più che l’appoggio europeo alla causa armena si rivolgesse contro di loro. Inoltre la propaganda governativa sosteneva che in un’Armenia autonoma o indipendente i curdi sarebbero stati dominati e soggiogati dai cristiani.

Questa notizia sembrava avvalorata dallo stesso movimento armeno, che reclamava l’indipendenza per la grande Armenia,riferendosi così all’antico territorio armeno, senza considerare i mutamenti demografici intervenuti negli ultimi secoli per cui ora parte dell’area era abitata dai curdi. per i curdi questa richiesta era una provocazione (3).

1915: inizia lo sterminio / 2

armenian genocide 2La situazione si aggravò con lo scoppio del primo conflitto mondiale. Dall’inizio della guerra, gli armeni ottomani si comportarono in generale come sudditi leali e si arruolarono nell’esercito turco. Da parte loro gli armeni russi furono normalmente incorporati nell’esercito russo e mandati sui fronti europei. Durante i primi mesi della guerra alcuni armeni russi si arruolarono nei corpi di volontari che servivano da esploratori all’esercito zarista: replica russa del progetto turco proposto agli armeni  a Erzurum alcuni mesi prima.

Il rifiuto di Erzurum e la formazione di questi battaglioni di volontari convinsero i Giovani Turchi del tradimento armeno. L’esercito turco subì la disfatta del Caucaso. Ebbero così inizio i provvedimenti anti-armeni. A partire dal gennaio 1915, i soldati e gendarmi armeni sono privati delle armi, riuniti in gruppi da 500 a 1.000 uomini in battaglioni di lavoro, e progressivamente giustiziati in luoghi isolati. Da aprile venne applicato il piano di deportazione e sterminio della popolazione armena.

Il pretesto era fornito dalla resistenza degli armeni di Van che furono salvati da uno sfondamento russo condotto dai volontari armeni del Caucaso. Durante l’assedio turco a Van (18 aprile-16 maggio 1915), il console italiano a Sbordone, che era rimasto l’unico rappresentante delle potenze europee a Van, nutrì e alloggiò gratuitamente una sessantina di abitanti che sierano rifugiati presso il consolato italiano (6).

QUANDO LA NOTIZIA DEI MOVIMENTI ARMATI DI VAN raggiunse Istambul, circa 650 personalità, scrittori, poeti, avvocati, medici, religiosi, uomini politici, furono imprigionati tra il 24 e il 25 aprile 1915, poi deportati e assassinati nei mesi seguenti. Fu così eliminata quasi tutta l’intelligencija armena dell’epoca. A partire dal 24 aprile il governo ordinò la deportazione degli armeni dei vilayet  (province) orientali. Un’organizzazione speciale (Os) fu incaricata di eseguire l’impresa. era formata da condannati per delitti comuni, liberati dalle carceri. I responsabili locali dell’ Os beneficiarono di un potere discrezionale e potevano spostare a proprio piacimento qualsiasi funzionario recalcitrante.

IL METODO IMPIEGATO, l’ordine di evacuazione delle città, l’itinerario delle colonne di deportati, tutto conferma l’esistenza  di un comando centralizzato che controllava lo svolgimento del programma. In ogni città, in ogni villaggio, l’ordine di deportazione era annunciato o affisso. le famiglie disponevano di due giorni per radunare gli effetti personali. I beni erano sequestrati o venduti. Notabili, membri dei partiti armeni, sacerdoti e uomini giovani furono arrestati, costretti a firmare confessioni inventate, poi giustiziati di nascosto in piccoli gruppi. I convogli di deportati erano composti di donne, vecchi, bambini. nei villaggi remoti, le famiglie massacrate e le case incendiate o occupate. da maggio a giugno le province orientali furono devastate, ogni protezione agli armeni fu severamente punita

LE NAZIONI DELL’INTESA ingiunsero al governo turco, al partire dal 10 maggio, di porre fine ai massacri. la Turchia ufficializzò mediante decreto l’ordine di deportazione che era in realtà una forma di sterminio. la popolazione armena fu allontanata dai luoghi di origine, dovette raggiungere apiedi il deserto della Siria settentrionale e ben pochi sopravvissero alle marce forzate. Migliaia di cadaveri si ammucchiarono lungo i percorsi.  Alberi e pali del telegrafo erano carichi di impiccati.

armenian genocide 12Di 1,2 milioni di armeni presenti nei sette vilayet orientali circa 300 mila poterono raggiungere il Caucaso con l’aiuto russo. Gli altri uccisi o deportati, 200 mila donne e bambini rapiti. Non arrivarono più di 50 mila sopravvissuti ad Aleppo, punto di convergenza dei convogli dei deportati. A fine luglio 1915, fu attuata la deportazione degli armeni di Anatolia orientale e occidentale e di Cilicia, zone lontane dal fronte dove la presenza armena non poteva essere considerata un pericolo per la sicurezza. le colonne di deportati erano dirette  verso Aleppo e poi il deserto siriano o quello mesopotamico. I campi di raggruppamento siriani accolsero 120 mila rifugiati che saranno rimpatriati in Cilicia alla fine della guerra.

Duecentomila armeni giunsero a Dei al-Zor. Gli armeni, soprattutto protestanti e cattolici furono salvati grazie all’intervento delle missioni protestanti e del nunzio apostolico. Altri riuscirono a nascondersi presso amici curdi e turchi. Si cita l’esempio di una delegazione curda che andò al consolato britannico  ad Aleppo per chiedere aiuti per gli armeni  che avevano protetto, in quanto non avevano più i mezzi per continuare ad aiutarli (7). Viene riportato che alcuni ufficiali turchi, che avevano partecipato al saccheggio e al massacro dei villaggi  armeni dissero: «venendo abbiamo sterminato gli armeni, al ritorno ci sbarazzeremo dei curdi» (8).

LA DEPORTAZIONE COINVOLSE gli armeni di tutte le province dell’impero ottomano, eccetto i residenti di istambul e Smirne. Ci furono delle resistenze a Urfa, Sabin, Mussa-Dagh. Venne attuato lo sradicamento totale del popolo armeno dal territorio anatomico, dove aveva abitato per oltre due millenni. Alla fine della guerra oltre metà del popolo armeno ottomano era scomparso. Il bilancio del genocidio  non è univoco. secondo Bernard Lewis (9)  causò 1,5 milioni di vittime.secondo statistiche del Patriarcato armeno, alla vigilia della guerra la popolazione armena nell’impero ottomano si attestava sui 2 milioni. tenuto conto dei rifugiati in Russia, la stima dei sopravvissuti è di 600 mila.

Nel 1915 da 700 a 800 mila armeni furono massacrati, e da 300 a 500 mila morirono durante la deportazione nei deserti di Siria e Mesopotamia. Infine circa 10 mila tra donne e bambini rapiti da turchi e curdi cambiarono definitivamente la loro identità. la rigogliosa comunità armena si ridusse a 50 mila unità a Istambul a gruppi sparsi in Anatolia. Al termine della guerra l’area armena era spopolata. era stata svuotata dal suo elemento etnico più antico e culturalmente più evoluto. Mancavano i servizi e le attività che erano prerogativa degli armeni; i curdi erano impreparati a sostituirli in queste attività produttive.

Delle circa 2 mila chiese e cappelle armene, di altrettante e più scuole, di innumerevoli istituzioni di beneficenza e cultura non resta quasi più traccia. Il genocidio si consumò in uno sradicamento totale, quello che vuole appunto indicare la lingua armena come “Metz Yeghern” (Grande crimine). Atto fondatore della diaspora moderna, ha spostato definitivamente il centro di gravità dell’Armenia a est del fiume Arasse, nel Caucaso. I sopravvissuti si dispersero nei cinque continenti, ma soprattutto nel Vicino e Medio oriente (Siria,Egitto, Libano, Persia), in Francia e Stati Uniti.

armenian genocide 21Gli armeni rimasti costituirono il 18 maggio  1918 la repubblica d’Armenia indipendente che resse fino al 1920. Il trattato di Sèvres riconobbe il diritto all’indipendenza  del popolo armeno che sperava di poter ricostituire la grande Armenia del Medioevo. ma le azioni militari turche indussero gli armeni ad optare per l’annessione all’Unione Sovietica, dove si è concentrata oltre la metà dei 6-7 milioni di armeni.

Il 2 dicembre 1920 viene proclamata la repubblica socialista sovietica d’Armenia, con capitale Erevan. E’ vanificata la realizzazione di uno stato indipendente armeno, ma gli armeni ritrovano una patria. Il trattato di Losanna del 24 luglio 1923 tra le grandi potenze e la nuova repubblica turca non fa menzione dell’Armenia o dei diritti del popolo armeno. la vita culturale armena viene incentivata dall’università di Erevan e l’Armenia diventa il riferimento degli armeni della diaspora. E negli anni cinquanta inizia l’espansione economica e demografica della giovane repubblica che nel 1991 proclama l’indipendenza.

Genocidio di un popolo. Il dibattito storiografico / 3

 Per  decenni la comunità armena si è battuta affinché fosse riconosciuto ufficialmente il genocidio da parte della Turchia e del consesso internazionale. Il dibattito sul genocidio armeno si è protratto per tutto il XX secolo, spesso in maniera strumentale, a dimostrazione di quanto l’argomento sia scottante. le corresponsabilità del governo tedesco sono documentate da Vahakn Dadrian, che ha svolto un’ampia ricerca negli archivi tedeschi, austriaci e ottomani.

Ufficiali e civili tedeschi presenti in Turchia durante la prima guerra mondiale parteciparono alla preparazione e alla giustificazione ideologica dei massacri. La Germania non volle esercitare pressioni sulle autorità turche per fermare i massacri e optò per una politica di non ingerenza  nella politica interna turca (10). Il dolore e l’angoscia del primo genocidio del XX secolo non sembrano stemperarsi con il passare dei decenni, anzi, i sopravvissuti e i loro discendenti con determinazione e caparbietà perseguono il riconoscimento ufficiale di quello sterminio. La negazione del genocidio viene considerata una seconda morte e definita «il crimine del silenzio».

Le autorità turche hanno sempre mantenuto un atteggiamento tetragono di negazione del genocidio, facendo ricadere sul «tradimento armeno» per la partecipazione, al fianco dell’esercito russo,  di battaglioni di volontari armeni provenienti dal Caucaso e dalla Turchia. negano i fatti, contestano il numero delle vittime, invocano il passare del tempo e pretendono l’impunità, anche perché il riconoscimento del crimine implicherebbe le dovute riparazioni. hanno cercato strenuamente di impedire ogni riferimento al genocidio del popolo armeno nei documenti dell’Onu.

La storiografia turca ha sempre sostenuto le tesi ufficiali che negano il genocidio. fanno eccezione pochissimi intellettuali turchi che affermano espressamente la veridicità del genocidio armeno: tra i più noti  Taner Akçam (11). la posizione negazionista turca è sempre stata confutata punto per punto dagli storici armeni (12). Come ha ricordato Claudio Magris «il primato del novecento nell’abominio (e, al suo interno, del nazismo) non consiste o non consiste solo nel numero delle vittime o nella volontà di distruzione, scatenata anche in passato da parte di alcuni popoli verso altri, bensì nella lucida ed esplicita pianificazione razionale dello sterminio, col suo connubio di alta razionalità scientifico-tecnologica e di immane barbarie…» (13).

Dalla fine del secondo conflitto mondiale gli armeni hanno moltiplicato le pressioni sull’Onu per riesaminare i crimini di guerra, mentre la Turchia è sempre più rigida a negare il genocidio, man mano che la sua posizione si consolida in occidente. Le divisioni tra i partiti armeni hanno impedito una strategia unitaria, per cui le attività armene all’Onu sono indebolite dalla mancanza di unità che ne inficia la credibilità. Inoltre gli anni ottanta sono stati caratterizzati dal terrorismo armeno contro obiettivi turchi con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento internazionale del genocidio e con la velleità di liberare i territori dell’Armenia turca.

turchi-armeniDal 1975 un gruppo di armeni membri o simpatizzanti del Comité de défense de la cause arménienne (Cdca) segue regolarmente la questione del genocidio presso l’Onu a Ginevra, dove si tengono le sedute della commissione e della sotto-commissione, per allacciare i rapporti con le delegazioni degli stati,sviluppare i rapporti con i funzionari dell’Onu e le organizzazioni non governative. nell’agosto 1985, nel settantesimo anniversario del genocidio e dopo anni di scontri ed omissioni, la sotto-commissione dei diritti dell’uomo  delle Nazioni Unite nel Rapporto sul crimine del genocidio in un paragrafo ha riconosciuto il genocidio del popolo armeno, con l’approvazione a forte maggioranza del rapporto Withaker, che evidenzia la strategia delle autorità turche di eliminazione del popolo armeno.

Il genocidio fu pure riconosciuto dal Parlamento europeo nella seduta del 18 giugno 1987. in precedenza anche il tribunale permanente dei popoli aveva riconosciuto il genocidio armeno durante una sessione del 1984, decisione che ebbe vasta risonanza (14). Da un genocidio dimenticato,si è passati a un genocidio contestato, che perpetua i traumi di un evento che ha mutato radicalmente il corso della storia armena.

Oltre ai turchi anche alcuni ebrei, per fare emergere nella sua unicità il genocidio commesso dai nazisti, tendono a relegare il genocidio armeno a massacri. esemplare il caso dello storico Bertrand Lewis, che in un’intervista a Le Monde (16 novembre 1994) aveva sostenuto che la qualificazione di genocidio era la «versione armena della storia». Questa dichiarazione aveva scatenato le proteste di docenti universitari, una serie di processi per aver negato un crimine contro l’umanità da parte di associazioni armene e gli è valsa una condanna dal tribunale di Parigi (21 giugno 1995) (15).

Note

(1) Claire Mouradian, L’Arménie, Paris, Press Universitaires de France, 1996, p.42

(2) Francesco Sidari, La questione armena nella politica delle Grandi Potenze dalla chiusura del Congresso di Berlino del 1878 al trattato di Losanna del 1923, Padova, CEDAM, 1962, pp.322

(3) kamal Mazhar Ahmad, Kurdistan fi sanawat al-harb al-‚alamiyyah al-ulà (Il Kurdistan negli anni della prima guerra mondiale), Baghdad, Magmà al-‘ilmi al-kurdi, 1977, p.268; trad. inglese: Kamal Madhar Ahmad, Kurdistan durung the First World War, London, Saqui Books, 1994, p.234

(4) Boghos Levon Zekiyan, La spiritualità armena. Il libro della lamentazione di Gregorio di Nazarek. Traduzione e note di Boghos Levon Zekiyan, Roma, Edizioni Studium, 1999, pp.25-26

(5) Idem, pp.126-127

(6) Fra Bernardo M.Goormachtigh, Dalle missioni domenicane d’oriente (appunti di un testimone), Il Rosario – memorie domenicane – a.34, serie III, vol. IV, 1917, pp.31-39

(7) Johannès Lepsius, Le Rapport secret di dr. Johannès Lepsius sur les massacres d’Armènie, Paris, Payot, 1918, pp.329 ; Arnold J. Toynbee, Armenian atrocities. The murder of the nation, New York-Toronto-London, Hodder&Stoughton, 1915, p.14

(8) Thomas Bois, Connaissance des Kurdes, Beyrouth, Khayats, 1965, p.14

(9) Bernard Lewis, The Emergence of Modern Turkey, Oxford, Oxford University Press, 1968, p.356

(10) Vahakn Dadrian, German Responsibility in the Armenian genocide, Watertown –Mass.- Blue Crane Books, 1996, pp.304

(11) Inayetullah Cemal Özkaya, Le peuple arménienne et les tentatives de réduire le peuple turc en servitude, Istambul, institut pour l’etude del la Turquie, 1971, pp.336; Mim Kemal Öke, The Armenian question 1914-1923, Oxford, K. Rustem & brother, 1988, pp.VII+295 ; Taner Akçam, Le tabou du gènocide armènien hante la sociètè turque, Le Monde Diplomatique, vol.48, n.568, julliet 2001, pp.20-21

(12) E.K. Sarkisian, RG Sahakian, Vital issues in modern Armenian history. A documented expose of misrepresentations in Turkish historiography, Watertown, Armenien studies, 1995.

(13) Corriere della Sera, 31 agosto 1996, p.27

(14) Tribunal permanent des peuoples, Le crime de silence. Le gènocide del Arméniens, Paris , Flammarion, 1984. Si veda anche: Tribunale permanente dei popoli. Le sentenze: 1979-1998. Cura e introduzione di Gianni Rognoni, Lecco, casa editrice Stefanori, Fondazione internazionale  Lelio Basso, 1998, pp.239-256.

(15) Claire Mouradian, op. cit. p.63

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ARMENIA, UNA STORIA MILLENIARIA

Gli armeni parlano una lingua del gruppo indo-europeo, scritta con l’alfabeto nazionale armeno, inventato secondo la tradizione nel 404-405 dal santo Mesrop Mashtots. Dall’antichità fino al primo conflitto mondiale hanno abitato l’Armenia, un altopiano di origine vulcanica caratterizzato da altitudini medie di 2.500-3.000 metri dominato dal monte Ararat (5164 m), dove si sarebbe posata l’arca di Noè.

La regione di circa 300 mila kmq si estende tra Kurdistan, Azerbaigian iraniano, Anatolia centrale e Caucaso. I confini non sono definiti perché continuamente modificati dalle guerre. La nazione armena grazie al re Trdat III (Tridate, IV sec. d.C.) adotta intorno al 301 il Cristianesimo come religione di stato e rivendica il titolo di prima nazione cristiana.

«Il Regno d’Armenia fu il primo stato ad accogliere ufficialmente la fede cristiana e a professarla da quel momento in poi in una continuità ininterrotta» (4). Ciò ha favorito il consolidamento della coscienza nazionale. La Chiesa apostolica armena è alla base dell’unità nazionale e la religione rappresenta anche la fonte della cultura armena nelle sue espressioni letterarie, artistiche, architettoniche.

L’Armenia rappresenta un crocevia dell’Asia occidentale, un’area di transito per i traffici commerciali.Gli abitanti sono stati coinvolti nei continui conflitti tra gli imperi orientali e quelli occidentali, tra persiani,  romani, bizantini, arabi, ottomani, russi. I brevi periodi di indipendenza politica nel I secolo a.C. e nel X secolo d.C. sono da ascrivere alla debolezza dei vicini. ma la popolazione cristiana ha sempre cercato di mantenere la propria identità religiosa, etnica, culturale.

Però si è trovata progressivamente isolata: con la caduta dell’impero bizantino viene meno questo importante riferimento occidentale e viene conglobata nell’impero ottomano, dove la millet armena ortodossa (gregoriana, apostolica) era formalmente riconosciuta e il patriarca poteva negoziare direttamente con la Porta.

 LA PICCOLA PATRIA VENEZIANA

Nel periodo compreso tra il XV e il XVII secolo alcuni centri della diaspora divennero i poli catalizzatori della vita e delle attività delle varie comunità armene. In Italia furono Livorno, con la prima sede armena per il commercio in Europa fondata nel 1553, e Venezia.Uno dei fattori principali di questa tendenza alla formazione di nuclei più consistenti è da ricercare nella posizione stessa di tali città all’interno dei sistemi socio-economici dei rispettivi paesi. Questi contatti furono alla base della stampa armena e, in particolare, della prima tipografia in questa regione e ben prima dei popoli limitrofi.

La maggior parte dei libri armeni  pubblicati nel XVI e nel XVII secolo fu stampata nelle città europee, soprattutto a Venezia, Parigi, Marsiglia e Amsterdam. nel 1512 a Venezia vede la luce il primo libro a stampa armeno il cui editore è un armeno, un certo Hakob. A partire da quella data una ventina di tipografie a Venezia svolse una notevole attività editoriale armena pubblicando circa 250 titoli in armeno fino al 1789, anno in cui s’inaugurò nell’isola di san Lazzaro la celebrata, poliglotta tipografia dei padri mechitaristi. Essa sarà in grado di stampare in ben 36 lingue con più di 10 alfabeti diversi.

Venezia manterrà così tra i vari centri storici dell’editoria armena un primato quasi assoluto, cui farà concorrenza solo Costantinopoli nel settecento e nell’ottocento. La Serenissima divenne senza dubbio il centro più importante della rinascita armena del seicento e del settecento. A Venezia è attecchita l’opera culturale e religiosa della congregazione mechitarista cattolica di San Lazzaro, sull’omonima isola, che nel 1715 venne concessa dal senato veneziano agli armeni.

Questo luogo è considerato «una piccola Armenia» da cui si diffuse la rinascita culturale che pervase nel XVIII secolo il mondo armeno. la grandezza della Serenissima, anche dopo la sua scomparsa, è molto presente tra gli armeni. «Sarà questa una tradizione costante di Venezia, della sua Chiesa in particolare, del suo patriarcato e clero, di stare sempre vicini a San Lazzaro nei momenti duri. Il clero di Venezia non esitò, quando se ne presentò la necessità, a inviare a Roma raccolte di firme con tanto di testimonianze, che non lasciavano adito ad alcun dubbio sulla fede, sulla correttezza, sull’affidabilità dei “Padri Armeni”.

In altre zone , inseno ad altri contesti ecclesiali, non sarebbe forse stata sempre così semplice né così facile la sopravvivenza di una comunità con caratteristiche alquanto “divaganti” rispetto alla “norma” dei tempi… Venezia è divenuta un fattore attivo, permanente ed efficacemente presente nella cultura non solo diasporica, ma anche patria degli armeni, e si è fatta di essa parte integrante (5)»

PARLA BOGHOS LEVON ZEKIYA

Sull’Armenia Millenovecento ha sentito Boghos levon Zekiyan, docente di lingua e letteratura armena a Ca’ Foscari a Venezia e soprattutto considerato il maggiore armenista operante in Italia.

Perché il popolo armeno persegue il riconoscimento del genocidio da parte della Turchia e perché Ankara si ostina a negarlo? perché ci tengono tanto gli armeni a definirlo “genocidio”? Non andrebbe altrettanto bene un termine come “sterminio”?

Zekiyan: Penso che sia innanzitutto un atto indispensabile di giustizia nei riguardi delle vittime. Inoltre il riconoscimento comporta la volontà di un risarcimento e può essere un fattore efficace per recuperare e restituire all’umanità e allo stesso paese quell’immenso patrimonio di monumenti che in grandissima parte sono ancora abbandonati alla loro sorte o usati per usi del tutto impropri, qualora non siano già del tutto distrutti.

Ovviamente il primo interlocutore per il riconoscimento dovrebbe essere lo stesso governo turco, il quale sino a questo momento agisce invece in senso contrario. ma vorrei ricordare che vi sono pure delle complicità da parte dell’impero germanico. negli anni ottanta durante un convegno di personaggi di altissimo,livello del governo della Repubblica democratica tedesca (la Germania comunista, Ddr) aveva riconosciuto il coinvolgimento tedesco. Purtroppo un simile riconoscimento sinora non è stato fatto né dalla Repubblica federale tedesca  né prima né dopo l’unificazione.

In quell’occasione fu detto: “Quel genocidio grava sulla nostra coscienza”. nella Germania  federale alcuni intellettuali lo hanno riconosciuto, ma a livello personale. E’ provata anche a livello di archivi, la complicità tedesca nel genocidio armeno durante il primo conflitto mondiale. in quel periodo il cappuccino armeno Padre Zohrabian aveva scritto a un confratello in Germania perché le autorità e i cittadini venissero sensibilizzati su quel che stava accadendo in Anatolia. La risposta agghiacciante è stata che “il clero, anche i cardinali, e i fedeli sono convinti che noi siamo degni di essere ammazzati”. Forse il governo tedesco non prevedeva l’ampiezza e la radicalità.

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