I nipotini di Rousseau

pedagogia_modernaArticolo pubblicato su Avvenire,
29 novembre 2000

La pedagogia moderna è ancora troppo illuminista? Parla Tony Anatrella,

di Debora Donnini

ROMA. L’educazione cambia, l’educatore spesso evita di intervenire per non influenzare il bambino, lasciandolo protagonista della sua stessa formazione e rendendolo cosi insicuro ed impulsivo. Questo e il quadro che emerge dalla relazione fatta da padre Tony Anatrella, psicoanalista, specialista in psichiatria e consulente del Pontificio Consiglio per la famiglia, in un convegno svoltosi recentemente presso il centro San Luigi dei Francesi a Roma.

Dunque, professor Anatrella, dalla sua analisi emerge che l’educazione si sta, in un certo senso, avvicinando al modello proposto da Rousseau.

«L’obbiettivo dell’educazione e stato spostato. Invece di educare in rapporto alla realtà, per esempio insegnare ai figli la storia, i valori, si e privilegiato l’interesse soggettivo del figlio, il suo sviluppo personale. Si ha la legittima preoccupazione del suo benessere, ma nello stesso tempo questo crea personalità più narcisistiche, impulsive, che hanno difficoltà a riflettere su se stesse, ad assumere doveri o far fronte a frustrazioni. Si può parlare di un riferimento a Rousseau nel senso che si pensa che il bambino possieda in se stesso tutto il necessario per svilupparsi. In questo modo, però, i bambini possono avere la sensazione di essere abbandonati a loro stessi, perché in realtà si trovano ad essere meno inseriti nella vita».

La causa di questa situazione si può far risalire anche alla crisi che la famiglia sta vivendo?

«La crisi deriva dalla sopravvalutazione dell’individuo, della sua soggettività; per esempio l’essere attenti a cosa il bambino sente, piuttosto che a cosa impara. Un’altra causa si trova nel rifiuto dell’autorità».

Nella nostra società c’e un rifiuto crescente della figura del padre?

«Attraverso il rifiuto dell’autorità è il padre che viene rifiutato. L’unica immagine parentale che si vuole dare al bambino, nella società attuale, è la relazione madre-figlio. Il padre sparisce, si confonde nell’immagine della madre».

Alla Conferenza di Pechino si e parlato di 5 generi sessuali. Questa moderna concezione della sessualità ha influenza sull’educazione dei bambini?

«A Pechino per definire le relazioni affettive ci si è riferiti alle tendenze sessuali, invece che all’identità sessuale. Una concezione che lascia pensare che la differenza sessuale non abbia nessuna importanza, mentre l’importante sarebbero le tendenze come I’omosessualità, l’eterosessualità, la transessualità, eccetera. Queste, in realtà, sono pulsioni, ma la socializzazione si fa a partire dalla femminilità e dalla mascolinità. Ci sono solo due identità sessuali: l’uomo e la donna. Se, però, si organizza la società a partire dalle tendenze, questo potrebbe provocare, a lungo termine, delle crisi di identità nella psicologia dei bambini e degli adulti.

Durante l’adolescenza ci sono sempre esitazioni sull’identità sessuale, si possono avere attrazioni immaginarie per persone dello stesso sesso, ma questo traduce in realtà un problema di ricerca di identità. Nel contesto attuale molti giovani pensano che questa “attrazione” sia definitiva, invece di vederla come un qualcosa di transitorio. La realtà attuale, che vorrebbe definire le relazioni unicamente a partire dalle tendenze, non aiuta i giovani a scoprire la loro identità e a fare il lavoro psicologico necessario per crescere. La Conferenza di Pechino non ha adottato questa proposta, ma l’Onu ha definito le famiglie a partire dalle tendenze sessuali e questo, secondo me, non è giusto».

In Europa si assiste, inoltre, ad un progressivo consenso alla legalizzazione delle coppie di fatto, delle coppie omosessuali e, nei casi più estremi, a dare loro la possibilità di adottare bambini…

«La relazione omosessuale non può essere comparata a quella tra uomo e donna, perché i problemi sono di identità. Il bambino per crescere ha bisogno di un uomo e di una donna. In situazioni particolari, può trovare il suo nutrimento altrove, ma se il fenomeno è generalizzato tanto da essere previsto dalla legge, allora si inscrive il bambino in una menzogna sociale, perché si lascia credere che due persone dello stesso sesso siano “sufficienti”. In questo modo, però, l’individuo non potrà differenziarsi in rapporto alla sua identità sessuale. Nel processo psicologico ci si differenzia, infatti, grazie al genitore dell’altro sesso. Se si è privati di questa dimensione psicologica, è possibile che sorgano personalità narcisistiche».

In Paesi come Francia e Germania per il nucleo domestico ci sono contributi economici a seconda del numero dei figli. Qual’ è però secondo lei, nel Vecchio Continente, la situazione legislativa della famiglia.

«In Europa la gente dà valore alla famiglia, ma politicamente il nucleo familiare non è aiutato. La società, il potere politico dovrebbero, invece, poter dare i mezzi, finanziari e istituzionali, per favorire la famiglia che è la sua cellula di base. D’altra parte lo Stato sta recuperando i poteri che erano propri del nucleo domestico. Ci sono leggi che tolgono valore alle relazioni familiari, per esempio quando si favorisce la contraccezione e l’aborto senza l’autorizzazione del padre e della madre. Il figlio cosi è invitato a mentire ai genitori. Sembra che sia possibile fare a meno della famiglia come cellula sociale, mentre l’educazione, la responsabilità, il senso morale sembrano appartenere sempre più alla società».

Torniamo al problema dell’educazione del bambino. Il limite ha un valore?

«Fissare dei limiti significa permettergli di diventare libero; l’educazione contemporanea lascia supporre che non ci siano limiti. Con il pretesto della libertà, vediamo adolescenti che si alienano troppo facilmente. Quando si mettono limiti attraverso dei valori, si permette invece al bambino di prendere possesso della vita».