Contro il Califfato, l’esercito di renitenti a combattere

obamaItalia Oggi Numero 221 pag.15

del 18 settembre 2014

Un’armata di molti scalcagnati

Obama non può fare la guerra e crea la coalizione anti-Isis

di Riccardo Ruggeri

Cari amici lettori, scrivere di economia, se non sei un economista certificato e riconosciuto, è come scrivere di politica internazionale, se non sei un politologo o un ex ambasciatore. Da anni leggiamo analisi sofisticatissime di costoro, che disegnano un mondo che, se fosse effettivamente tale, non sarebbe poi così male, purtroppo c’è sempre qualche inghippo, al quale costoro non avevano pensato, per cui salta tutto.

Falliti come indovini, scrivono allora libri sul passato, qui danno il meglio. Spiegano, a posteriori, cosa è successo con grande sfarfallio di dottrina e cultura. Ringalluzziti dal successo dell’analisi sul passato, ricascano nell’idea di fare un affresco sul futuro, al solito, è una buffonata, e il ciclo si ripete all’infinito. «E intanto l’uomo campa», mi diceva anni fa un consulente di management americano.

Prendiamo il caso del Califfato del Levante. Molti anni fa, certo Bush ebbe l’idea di «esportare la democrazia» nel Medio Oriente. In effetti, l’idea di equiparare i rivoltosi arabi a Mazzini pareva avventurosa già allora. Saddam (un arabo laico, stile Tito) fu abbattuto. Fallita l’idea di Bush, gli Obama, Cameron, Sarkozy, scelsero di abbattere il dittatore arabo più laido, ma anche più laico, Gheddafi (costui aveva pagato le loro campagne elettorali e finanziato le loro università).

Le prime primavere arabe li eccitano, le vivono come fossero le buffonate dei loro pargoli di «Occupy Wall Street». Allora fanno saltare un «vecchio amico» come Mubarak e, sempre più eccitati, vogliono abbattere pure Assad. Fortunatamente, Putin e Papa Francesco li fermano. Allora tornano in Europa, sfrucugliano gli ucraini, fanno saltare un presidente eletto, grazie alla solita piazza (un mix di democratici e di nazi): se non fossimo noi occidentali a farlo, si chiamerebbe golpe. Risultato: un disastro.

Improvvisamente, scoprono che c’è un nemico vero, a loro insaputa: è nato il Sultanato del Levante, matrice islamica di stretta osservanza. Questi non fingono, come gli altri, di essere come non sono: usano sia i coltelli per sgozzare gli occidentali, sia i «social» per aumentare le loro truppe. Interpretano a modo loro il multiculturalismo. Sono quattro gatti, ma, in pochi mesi, occupano parte della Siria e parte dell’Iraq, ridicolizzando l’esercito irakeno, foraggiato con montagne di dollari.

Che fare? La guerra non la si minaccia, o la si fa o no. È cosa seria, il primo presupposto è verificare se il tuo popolo è disposto che i suoi figli muoiano per la Patria. Caro Obama, i tuoi concittadini non vogliono la guerra, ti hanno eletto due volte sulla tua promessa di non usare mai più le armi fuori dagli Usa, ricordi? Anche Papa Francesco l’ha capito (visto il numero di cristiani che stanno ammazzando costoro), ha detto «bisogna fermarli», certo non ha spiegato come. Però per primo, e unico, ha detto una grande verità: siamo entrati nella Terza guerra mondiale. E noi? Vigliaccamente, fingiamo che così non sia.

Un passo indietro. Mettiamoci per un attimo nei panni di Obama (i Cameron, gli Hollande e gli altri cosiddetti «alleati», noi compresi, contano come il due di picche). Da lettore di analisi strategico-politiche, elenco una serie di vincoli che appaiono insuperabili.

1. Se ci si appoggia ai peshmerga curdi, si facilita la secessione delle regioni curde, ma questo destabilizzerebbe, oltre che l’Iraq, pure la Turchia, e irriterebbe l’Iran.

2. Deve avere il sostegno delle tribù sunnite in Iraq, ma queste non possono darlo, perché favorirebbero gli sciiti, loro nemici mortali.

3. Se interviene in Siria contro il Califfato fa il gioco di Assad, rafforzandolo; non può, visto che pochi mesi fa aveva deciso di abbatterlo.

4. Così però porta al calor bianco le relazioni già pessime con Putin, protettore storico della Siria, a sua volta furibondo per sanzioni idiote.

5. Come sostiene da tempo su Formiche l’amico Carlo (il Generale Jean), ci sono molti dubbi sull’efficacia della «airpower decapitation strategy», come già avvenuto in Somalia e Yemen, creando paurose contraddizioni politiche, il cui superamento sarebbe possibile solo con continui compromessi, a cui non siamo attrezzati.

Diciamocelo, se uno ti aggredisce con le armi tu non puoi rispondere con gli appelli. Si ritorna al nocciolo: o fai la guerra (di terra) o non la fai. Che fa invece la «volpe» Obama? Una grande coalizione di 25 grandi chiacchieroni, dove c’è tutto e il contrario di tutto (persino i finanziatori del Califfato) ma nessuno di loro è disposto a combattere (noi, astuti, abbiamo scelto di fare i benzinai volanti degli aerei americani). Nasce così una «Alleanza dei Riluttanti», 25 poveretti che non sanno che pesci pigliare. Questa è la dimensione culturale e politica delle nostre élite.

La conferma l’abbiamo proprio dal caso Califfato. Oltre dieci anni fa, una donna che aveva passato la sua vita sui teatri di guerra, intervistato a muso duro tutte queste leadership, Oriana Fallaci (è l’anniversario della sua morte) aveva previsto tutto, ci aveva invitato a prepararci, a lottare, e noi che abbiamo fatto? L’abbiamo massacrata, sia umanamente che intellettualmente, le abbiamo dato della fascista, ci siamo nascosti dietro slogan volgari. Abbiamo persino contestato la mente più alta che ci ha regalato il Ventesimo secolo, Papa Ratzinger, che su questo tema si era esercitato in modo sublime nella prolusione di Ratisbona. Massacrato pure lui.

Noi, élite dell’Occidente, siamo intellettualmente e umanamente dei miserabili.